Farmaci biotecnologici biosimilari, prospettive di sviluppo e applicazioni
Il forte risparmio garantito con i farmaci biotecnologici biosimilari consiglia di incentivare il loro utilizzo. L’efficacia e la sicurezza sono assicurate dal complesso processo registratorio che gli organi regolatori italiani ed europei impongono per l’autorizzazione al commercio. Nonostante ciò l’Italia resta il fanalino di coda ed è ancora troppo ampio il gap con il resto d’Europa.
Roma, 14 novembre 2011 – I farmaci biotecnologici biosimilari sono destinati a un ruolo di primo piano nel settore farmaceutico mondiale, poiché rappresentano una rilevante opportunità per garantire l’accessibilità alle cure più avanzate a un maggior numero di pazienti, favorendo contemporaneamente la sostenibilità dei sistemi sanitari. Molti i farmaci biotecnologici biosimilari già in commercio in Europa: in Germania, 4 pazienti su 10 assumono l’epoetina biosimilare, quasi 1 su 3 viene trattato con il biosimilare di filgrastim. Questi farmaci, a parità di efficacia, qualità e sicurezza, costano anche il 30% in meno rispetto agli originatori, garantendo un risparmio per i sistemi sanitari, risparmio che, tra l’altro, potrebbe diventare più che sostanzioso se si considera che nei prossimi anni un notevole numero di molecole di biotecnologia vedranno scadere la loro protezione brevettuale.
In Italia, a tre anni dall’introduzione in commercio dei primi farmaci a brevetto scaduto, permangono riserve sul loro utilizzo: solo 1 paziente su 1.000 viene curato con epoetina biosimilare e solo 5 su 100 con filgrastim biosimilare. Proprio per questo farmaco, che stimola la produzione di globuli bianchi nei pazienti in chemioterapia, aiutando a prevenire le infezioni, il divario prescrittivo è molto significativo nei confronti di altri Paesi. Si pensi che nel Regno Unito, il 63% di filgrastim dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale è biosimilare, mentre in Germania la percentuale è del 41% e in Francia del 29%.
“Attualmente nel nostro Paese sono disponibili farmaci biotecnologici biosimilari per 3 categorie farmacologiche, ossia ormone della crescita, eritropoietine, fattori di crescita granulocitari” spiega il prof. Paolo Marchetti, direttore U.O.C. Oncologia Medica dell’Ospedale Sant’Andrea Facoltà di Medicina e Psicologia, Università Sapienza di Roma e membro del consiglio direttivo AIOM. “Nei prossimi 5 anni, però, verranno a decadere le coperture brevettuali di 45 farmaci biotecnologici. Si comprende dunque come un corretto impiego dei farmaci biosimilari rappresenti una risorsa importante per il servizio sanitario. Infatti, una volta stabilito da EMA (l’agenzia europea per i medicinali) e AIFA (l’agenzia italiana del farmaco) che il farmaco biosimilare è simile all’originatore in termini di qualità, sicurezza ed efficacia, il medico avrà a disposizione un’opportunità terapeutica che permette di razionalizzare la spesa sanitaria, liberando risorse per nuovi farmaci innovativi, in genere di elevato costo, con beneficio dei pazienti.”
Probabilmente, come successo in Paesi quali Regno Unito e Germania, in futuro l’utilizzo dei farmaci biotecnologici biosimilari si diffonderà sempre di più. Gli eventuali dubbi sulla sicurezza ed efficacia dei farmaci biotecnologici biosimilari rispetto ai loro originatori non hanno ragion d’essere.
“Proprio perché un biosimilare non è la copia di un biologico originatore” spiega il prof. Armando Genazzani, docente di Farmacologia alla Facoltà di Farmacia dell’Università del Piemonte Orientale. “Per ottenere l’approvazione degli organi regolatori, deve seguire il percorso imposto dall’agenzia regolatoria europea (EMA), secondo modalità precise. L’azienda che intende produrre un farmaco simile a uno il cui brevetto sta per scadere deve, prima di tutto, ottenere una molecola biologica (ossia una proteina) simile a quella che si vuole copiare. Una volta ottenuta e purificata, questa va sottoposta a valutazioni fisiche e chimiche per accertarne la similarità con quella dell’originatore. Se supera questi esami, viene sperimentata sugli animali per valutarne l’attività biologica. Se anche questa fase è positiva, si passa agli studi sull’uomo, che devono coinvolgere un numero sufficientemente alto di persone e che confrontano il biosimilare con l’originatore: prima la molecola viene studiata su volontari sani (studi di fase I) poi, se i risultati lo consentono, su volontari malati (studi di fase III). Questo iter dura dai tre ai sette anni: l’approvazione si basa sul parere scientifico positivo dell’Agenzia Europea per i Medicinali dopo la valutazione dei dati forniti. Pertanto, tutti i farmaci biosimilari ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio solo dopo una valutazione rigorosa ed approfondita dei relativi dati di registrazione.”
“I farmaci biotecnologici biosimilari” spiega Alessandro Ghigo, Sales Manager Hospital Teva Italia, “sono opzioni terapeutiche altrettanto efficaci, sicure e di qualità rispetto al farmaco biotecnologico originatore di cui è scaduto il brevetto. Questi farmaci sono destinati ad avere un ruolo da protagonisti nel settore farmaceutico mondiale, perché possono garantire l’accesso alle cure più innovative a un numero maggiore di pazienti, favorendo un utilizzo più razionale della spesa farmaceutica. La loro diffusione favorisce, quindi, la sostenibilità dei sistemi sanitari; l’introduzione, nel comparto, di sei prodotti biotecnologici a brevetto scaduto comporterebbe, per l’Unione Europea, un risparmio di almeno il 30% di spesa, pari a circa 2.4 miliardi di euro all’anno. Relativamente all’Italia, secondo recenti proiezioni, la maggiore diffusione e utilizzo dei farmaci biotecnologici biosimilari, nei prossimi 10 anni, potrebbe portare al sistema sanitario un risparmio progressivo di più di 200 milioni di euro nel 2015, fino a 500 milioni di euro nel 2020. Quindi, pur restando lontanissimi dal 40% di utilizzo del farmaco biosimilare, già in essere in un Paese di riferimento come la Germania, complessivamente, le aziende sanitarie risparmierebbero già il 3-4% sulla spesa complessiva per i farmaci.”