Aviaria: è più infettiva, ma meno letale

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H5N1

Una nuova metanalisi riconsidera i tassi di infezione e di letalità del virus H5N1: l’infezione riguarderebbe l’1-2 per cento della popolazione esposta, e i decessi sarebbero inferiori alla stima del 50 per cento finora divulgata. Gli stringenti criteri dell’OMS tenderebbero infatti a sottostimare le forme lievi e subcliniche dell’infezione, esagerando il rischio di morte.

Si torna a parlare di H5N1, la famigerata influenza aviaria. Ma questa volta non si tratta di un allarme ma di una seria valutazione scientifica apparsa sulla rivista “Science” a firma di un gruppo di ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York guidati da Peter Palese che hanno condotto una nuova metanalisi per determinare l’evidenza sierologica delle infezioni del virus nell’essere umano.

Secondo Palese e colleghi, infatti, la prevalenza delle infezioni da influenza di H5N1 finora non era mai stata determinata in modo esaustivo. I casi confermati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sono meno di 600 con una letalità superiore al 50 per cento.

Nell’articolo si ipotizza pertanto che gli stringenti criteri di conferma delle infezioni umane stabiliti dall’OMS tendano a escludere la maggior parte delle infezioni, limitandosi per contro ai pochi casi già ospedalizzati, che hanno una maggiore gravità e, pertanto, una prognosi peggiore.

La metanalisi dei ricercatori della Mount Sinai mostra che circa l’1-2 per cento dei più di 12.500 partecipanti a 20 studi avevano un’infezione documentata da analisi sierologiche.

Nell’analisi principale sono stati inclusi solo i 19 studi che hanno valutato i campioni ematici sulla base delle linee guida dell’OMS per la sieropositività all’H5N1 o quelli che presentano i dati in modo che i criteri dell’OMS possano essere applicati successivamente. In un’analisi secondaria, sono stati analizzati i dati utilizzando i criteri di positiivtà degli autori.

Nella prima parte dell’analisi sono stati considerati 7304 partecipanti; tutti gli studi hanno riferito percentuali di sieropositività tra 0 e 5,3 per cento, con l’eccezione di uno studio in cui tale percentuale arrivava all’11,7 per cento in soggetti che si trovavano a stretto contatto con individui infetti. Utilizzando i criteri OMS, la metanalisi ha rivelato una sieropositività complessiva dell’1,2 per cento (intervallo di confidenza al 95 per cento: 0,6%-2,1%).

Nella seconda parte dello studio i soggetti coinvolti sono stati 6774, per un tasso di sieropositività dell’1,9 per cento (intervallo di confidenza al 95 per cento: 0,5%-3,4%). Utilizzando entrambi i criteri, il tasso di infezioni si situa nell’intervallo 1-2 per cento.

Interessanti sono anche i risultati di alcune sottoanalisi, sempre sulla base dei criteri OMS. Nella prima, in cui sono stati considerati soggetti specificamente impiegati negli allevamenti di pollame (complessivamente 2729 persone): la stima del tasso di sieropositività si attestano all’1,4 per cento. Se si scoroporano gli studi relativi ai casi verificatisi nel 1997 a Hong Kong, il tasso di sieropositività sale al 3,2 per cento, mentre per gli studi relativi ai casi verificatisi dopo il 1997 si scende allo 0,5 per cento.

In sostanza, concludono gli autori, i virus H5N1 possono causare nell’essere umano una quota di infezioni non gravi o subcliniche di cui finora non si è tenuto conto. Pertanto, il tasso di letalità reale per i virus dell’H5N1 è probabilmente inferiore a quello comunemente riportato, parti al 50 per cento.

Sebbene attualmente non sia possibile determinare in modo preciso il tasso di letalità, se si assume un tasso di infezione dell’1-2 per cento nella popolazione esposta bisogna concludere che in tutto il mondo i casi d’infezione sono stati milioni. È altresì possibile che i casi di morte documentati dall’OMS siano sottostimati.

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