La terribile resistenza dei geni immunitati “cattivi”
I geni possiedono di norma pochissime varianti, o alleli. Fanno eccezione quelli delle proteine dell’MHC, elemento essenziale del sistema immunitario, che ne hanno in media ben 2300 ciascuno, molti dei quali legati a malattie autoimmuni o a suscettibilità a malattie. Uno studio chiarisce perché nel corso dell’evoluzione la loro presenza nella popolazione non sia stata eliminata.
Le proteine del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) si trovano sulla superficie della maggior parte delle cellule e hanno la finzione di distinguere le struttura che appartengono all’organismo, il sé, da quelle estranee e innescare all’occorrenza lo scatenamento della risposta immunitaria.
I geni per queste proteine hanno peraltro una particolarità: mentre la maggior parte dei geni possiede, sia nell’uomo che negli altri vertebrati, solamente uno o due alleli, ossia forme varianti del gene, nella popolazione umana si contano in media ben 2300 alleli differenti per ciascuno dei sei geni che controllano le proteine MHC.
Anche se ciascuna singola persona non è portatrice di più di 12 alleli, questa incredibile proliferazione ha finora costituito un enigma: “Il mistero – osserva Jason Kubinak, primo autore di un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” che chiarisce alcuni punti essenziali del problema – è perché ci siano così tante versioni differenti degli stessi geni MHC nella popolazione umana, soprattutto perché molte persone portano MHC che li rendono suscettibili a molti patogeni e a malattie autoimmuni.”
Le cellule dendritiche sono fra quelle che maggiormente esprimono le proteine MHC
“È naturale che si conservino i geni che combattono la malattia”, dice Kubinak. “Aiutano a sopravvivere, e quindi nel corso del tempo quei geni MHC diventano più comune nella popolazione perché le persone che li portano possono sopravvivere e avere figli.”
Ma, col tempo, alcuni patogeni mutano ed evolvono per diventare meno riconoscibile all’MHC ed eludere la risposta immunitaria. Come risultato, gli agenti patogeni possono prosperare. Chi è portatore di questi MHC che hanno “perso questa battaglia” contro i patogeni sono quindi predisposti ad ammalarsi e magari a soccombere. Si è pensato quindi che i geni MHC di suscettibilità alla malattia esaminato alla fine dovrebbero scomparire dalla popolazione: per molti MHC tuttavia le cose non vanno così. Le ragioni sono state finora oggetto di controversia e si è ipotizzato anche che potesse essere coinvolto il fatto che nella scelta del partner esiste la tendenza a orientarsi, guidati dall’olfatto, a quanti possiedono un sistema MHC differente dal proprio in modo da aumentare lo spettro di capacità difensive della prole.
In una serie di esperimenti condotti su gruppi di topi geneticamente identici a meno di tre alleli di geni MHC messi in contatto con un retrovirus, i ricercatori dell’Università dello Utah a Salt Lake City, autori dell’articolo, sono riusciti a individuare due cause della mancata scomparsa degli alleli. In primo luogo, alcuni ceppi ormai rari di MHC traggono un un vantaggio dal fatto di non essere più “sotto osservazione” da parte dei patogeni, tanto da poter tornare a essere in grado di rilevare e combattere quei patogeni che li avevano sconfitti una volta che questi, impegnati nella loro corsa agli armamenti, hanno subito una serie di altre mutazioni. Inoltre, alcuni MHC rari possono innescare la risposta immunitaria contro patogeni completamente diversi.
Di fatto, scrivono i ricercatori, lo studio conferma sperimentalmente il modello della coevoluzione antagonista fra un virus e il suo ospite, ma dai risultati dello studio si possono trarre anche altre conclusioni. In primo luogo che l’uso di antibiotici per aumentare la produttività negli allevamenti rappresenta una delle ragioni principali malattie umane sempre più resistenti agli antibiotici. L’allevamento selettivo per ottenere capi che forniscano più latte e più carne ha ridotto la diversità genetica del bestiame, compresa quella relativa al loro MHC.
In secondo luogo, la diminuzione delle popolazioni delle specie in pericolo ne abbassa la diversità genetica, e questo a sua volta le rende un bersaglio ulteriormente più facile dei patogeni; pertanto, osservano i ricercatori, sarebbe auspicabile riuscire a ibridare queste specie in pericolo con portatori di MHC protettivi.
Infine, la conservazione o l’incremento della variabilità genetica dell’MHC, sia nelle persone sia in altri organismi, è importante per limitare la diffusione e l’evoluzione delle malattie emergenti. In effetti, ha sottolineato Kubinak, facendo evolvere un virus nei topi si osserva lo sviluppo di nuove malattie.
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