Lo zigote sceglie i geni che, imprintati, saranno il “linguaggio” delle sue “espressioni”

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Una ricerca chiarisce i meccanismi attraverso cui la cellula fecondata sceglie quale esprimere dei cosiddetti geni imprintati, per i quali, pur essendo disponibile una copia ereditata da ciascun genitore, è necessario che una delle due rimanga spenta per evitare anomalie nello sviluppo.

Nello sviluppo di esseri umani e di altri mammiferi, non tutti i geni sono trattati in modo uguale. L’espressione di alcuni geni sottoposti a imprinting, o geni imprintati, è infatti determinata da una sola copia del contributo genetico dei genitori.

Nell’essere umano si conoscono almeno 80 geni di questo tipo; se una copia di essi non funziona correttamente o se vengono espresse entrambe, può manifestarsi una varietà di condizioni patologiche ereditarie, come la sindrome di Prader-Willi e quella di Angelman, o malattie come il cancro.

I meccanismi che regolano la determinazione di quale copia dei geni parentali vada utilizzate e quali ignorata sono tuttora poco chiari, ma una ricerca condotta da biologi del Ludwig Institute for Cancer Research a La Jolla, dell’Università della California a San Diego e del Toronto Western Research Institute, e pubblicata sulla rivista “Cell”, inizia a far luce sul problema.

In particolare, i ricercatori hanno descritto in dettaglio il modo in cui la metilazione differenziale del DNA nei due genomi parentali determina l’espressione selettiva di geni imprintati nel topo.

La metilazione differenziale del DNA implica l’aggiunta di gruppi metile alla citosina, una delle quattro basi del DNA, aggiunta che altera l’espressione dei geni interessati, stimolandoli o silenziandoli in modo che contribuiscano in maniera adeguata alla crescita e allo sviluppo embrionale.

Questo processo, detto di regolazione epigenetica, è quindi in grado di influenzare l’eredità al di là dei geni stessi: “Il DNA è solo metà della storia”, osserva Bing Ren, che ha coordinato lo studio e dirige dirige anche il San Diego Epigenome Center, uno dei quattro centri dei National Institutes of Health dedicati alla ricerca epigenetica.

Usando una sofisticata tecnologia di sequenziamento sviluppata da Joseph Ecker al Salk Institute for Biological Studies, Ren e colleghi hanno trovato nel genoma del topo specifiche impronte di metilazione di origine parentale in 1952 sequenze dinucleotidiche del DNA. Le sequenze imprintate formavano 55 gruppi distinti che comprendevano quasi tutte le regioni a metilazione differenziale note presenti nella linea germinale e altre 23 regioni in precedenza sconosciute. “Questo suggerisce che si tratti di uno strumento molto preciso”, afferma Xie Wei, primo autore dell’articolo.

I ricercatori hanno anche scoperto la presenza nel cervello di un tipo di metilazione molto particolare, finora osservato solamente nelle cellule embrionali. “Al momento non sappiamo quale sia il significato di questa modifica a livello cerebrale, ma il fatto che sia molto specifica suggerisce che sia correlata a una qualche importante funzione biologica”, osserva Cathy L. Barr, co-autrice delo studio.

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