Tumori: non sono sufficienti i provvedimenti che si prendono contro l’infertilità
Tra le piu’ giovani pazienti affette da cancro sono solo pochissime quelle che prendono provvedimenti per preservare la propria fertilita’. Lo rende noto uno studio pubblicato on line su Cancer, rivista peer-reviewed della American Cancer Society. Lo studio richiama inoltre l’attenzione sugli sforzi necessari da compiere per fornire consulenza in materia di conservazione della fertilita’ in donne in eta’ riproduttiva con diagnosi di cancro. Si stima che ogni anno solo negli Usa siano piu’ di 120.000 le donne sotto i 50 anni che ricevono una diagnosi di cancro. Poiche’ i tassi di sopravvivenza stanno migliorando, si sta facendo sempre piu’ urgente la necessita’ di contrastare la sterilita’ indotta dalle terapie antitumorali. Tra le tecniche consigliate dai protocolli medici, si segnalano le tecnologie di riproduzione assistita come il congelamento dell’uovo e degli embrioni. Mitchell Rosen, ricercatrice dell’University of California-San Francisco (UCSF), ha guidato un team che ha esaminato 1.041 donne con diagnosi di tumore tra i 18 e i 40 anni.
Cinque i tipi di cancro inclusi nello studio: leucemia, morbo di Hodgkin, linfoma non-Hodgkin, il cancro al seno, e il cancro gastrointestinale. Le donne sono state campionate in modo casuale dal California Cancer Registry tra il 1993-2007. Su 1041 donne, 918 sono risultate esser state trattate con terapie pericolose per la fertilita’ (chemioterapia, radioterapia pelvica, chirurgia pelvica o trapianto di midollo osseo). I ricercatori hanno riscontrato che solo il 61 per cento delle donne ha ricevuto una consulenza sui rischi del trattamento del cancro alla loro fecondita’. Complessivamente, solo il quattro per cento e’ riuscito a preservare la propria fertilita’. “Anche se la percentuale di donne che ha ricevuto informazioni riguardo ai rischi per la salute riproduttiva e’ aumentata negli ultimi anni, sono ancora molte quelle che non ricevono un’informazione adeguata sulle opzioni da adottare al momento della diagnosi”, ha aggiunto la Rosen. Secondo gli autori le disparita’ socio-demografiche svolgono un ruolo preponderante nell’accesso alle tecnologie di riproduzione assistita.