Colesterolo “buono” o “HDL”: studi recenti mettono in dubbio i poteri anti-infarto della molecola
Una ricerca, coordinata dal Massachusetts General Hospital di Boston, su un campione di 120.000 persone porta un duro colpo alla tesi che l’Hdl possa evitare il rischio cardiovascolare.
Il colesterolo buono (Hdl) potrebbe essere meno efficace del previsto nel ridurre il rischio di infarto. Da uno studio internazionale su un campione di 120.000 persone, appena pubblicato su Lancet 1, emergono forti dubbi sul fatto che, aumentando le concentrazioni ematiche, il rischio cardiaco effettivamente si riduca. Alla ricerca, coordinata da Sekar Kathiresan del Massachusetts General Hospital di Boston 2 e dal Dipartimento di genetica all’università della Pennsylvania 3, hanno partecipato ricercatori italiani della Fondazione Policlinico di Milano, dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma e dell’Università di Verona. L’eccesso di colesterolo ‘cattivo’ Ldl- mette in pericolo la salute del cuore e delle arterie e quindi ridurne i livelli abbassa anche il rischio cardiovascolare. Ma gli studiosi si sono chiesti che cosa accade aumentando quelli di colesterolo buono?
Il Dna di 120.000 persone. Per rispondere alla domanda, il team internazionale ha analizzato il Dna di oltre 120 mila persone per controllare una particolare variante del gene ‘Lipg’ legato alla quantità di colesterolo Hdl nel sangue: più il gene con questa variante produce proteine, più è alta la quantità di colesterolo buono. In contemporanea, in oltre 53 mila persone i ricercatori hanno studiato altre 14 varianti geniche note per essere associate esclusivamente ai livelli di colesterolo Hdl. Gli studiosi hanno concluso che “certi meccanismi genetici che aumentano i livelli di colesterolo Hdl nel sangue non sembrano abbassare il rischio di infarto miocardico”.
Studi genetici. Per capire se questa relazione esiste i ricercatori Usa sono ricorsi alla genetica, osservando persone che sono geneticamente predisposte ad avere valori elevati di colesterolo buono nel sangue. Se l’Hdl veramente difendesse dall’infarto, allora le persone geneticamente predisposte ad averne tanto dovrebbero essere meno inclini all’attacco cardiaco. Ma niente di tutto questo è emerso osservando molte decine di migliaia di persone (20.913 casi di attacco cardiaco e 95.407 individui di controllo). I fortunati che per motivi genetici avevano alti livelli di Hdl nel sangue non sono risultati più protetti degli altri dall’infarto.
Secondo il team di ricercatori alzare i livelli di colesterolo buono nel sangue non serve a evitare l’infarto. “Forse, quindi, non vale la pena di sviluppare farmaci per cercare di aumentarlo – spiega l’ematologo Pier Mannuccio Mannucci, direttore scientifico della Fondazione Policlinico di Milano, tra gli autori dello studio – I dati della ricerca mettono a dura prova un dogma e cioè che alti livelli di colesterolo buono Hdl proteggano dai rischi dell’infarto. Questa scoperta conferma anche ciò che si è visto con altri studi, dove si sperimentavano farmaci capaci di aumentare i livelli di colesterolo Hdl, ma che non diminuivano affatto il rischio di infarti”.
Rischio cardiovascolare. Mannucci tiene a precisare che “nessuno mette in dubbio che il colesterolo totale, ovvero la somma del colesterolo ‘buono’ e di quello ‘cattivo’, sia strettamente legato al rischio cardiovascolare. “In ogni caso – conclude il direttore scientifico del Policlinico – non c’è solo il colesterolo a mettere in pericolo il cuore, ma una serie di fattori di rischio, come ad esempio il fumo di sigaretta. Tanto è vero che chi ha il colesterolo basso può comunque sviluppare un infarto, mentre ci sono persone che, nonostante abbiano valori ‘alle stelle’, sono al riparo da attacchi di cuore”. In conclusione, alla luce di questo studio vacilla l’idea che aumentare il colesterolo buono, modificando gli stili di vita e/o assumendo medicine, faccia bene alla salute.