Degenerazione maculare: 20 mila nuovi casi ogni anno in Italia

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”Ogni anno in Italia sono circa 20mila le persone cui viene diagnoisticata una degenerazione maculare della retina legata all’eta”’.

Lo ha spiegato Filippo Cruciani, Professore Aggregato di Oftalmologia dell’Universita’ Sapienza di Roma, in occasione della presentazione di un farmaco, Ranibizumab, ideato, sviluppato e formulato specificatamente per l’uso oftalmico ”con l’obiettivo di stabilizzare e migliorare l’acuita’ visiva in questi pazienti”.

La degenerazione maculare legata all’eta’ e la retinopatia diabetica sono tra le principali cause di ipovisione e cecita’ legale nei paesi industrializzati.

A livello italiano, la Commissione Nazionale per la Prevenzione della Cecita’ si sta muovendo, nell’ambito dell’iniziativa globale ”Vision 2020”, proprio per l’implementazione di un Piano Nazionale di prevenzione della cecita’ e dell’ipovisione, con l’obiettivo di raccogliere i primi dati su queste importanti menomazioni della vista e sulle loro cause.

”Negli ultimi anni – ha spiegato Cruciani – si e’ registrato un notevole incremento delle malattie degenerative della retina, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione, come nel caso della degenerazione maculare legata all’eta’, in parte perche’ connesso a patologie come la retinopatia diabetica, una complicanza del diabete che a sua volta colpisce una fetta importante della popolazione”.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (OMS), viene definito ipovedente colui che ha un’acuita’ visiva compresa tra valori di poco superiori a 1/20 ed inferiori a 3/10. Un soggetto ipovedente, e’ stato spiegato, non riesce a leggere caratteri di stampa standard, non riconosce i volti delle persone e ha anche difficolta’ nei movimenti.

”Oggi c’e’ scarsa attenzione verso l’ipovisone, che tuttavia e’ in crescente aumento – ha osservato Cruciani – .

E’ vero che l’ambiguita’ visiva che deriva da queste condizioni, che rendono i pazienti ne’ ciechi ne’ normovedenti, e’ sicuramente una condizione difficile da monitorare in termini epidemiologici, ma e’ assolutamente necessario farlo in considerazione del fatto che queste patologie impediscono all’individuo che ne e’ affetto lo svolgimento della sua attivita’ di vita sociale e lavorativa e il perseguimento delle sue piu’ basilari esigenze di vita”.

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