epigenetica

Grazie a un processo chimico innovativo, è ora possibile distinguere tra due diverse forme di metilazione, la marcatura dei geni che ne permette la disattivazione, raggiungendo un nuovo livello di comprensione dei meccanismi che regolano lo sviluppo delle cellule staminali a livello embrionale nei mammiferi.

La genetica non è solo lo studio della struttura e della funzione dei geni: le ricerche si stanno orientando sempre più verso l’epigenetica, l’insieme delle modifiche del DNA veicolate dall’ambiente che controllano il modo in cui si attivavano specifici geni in specifici tessuti, ottenendo le proteine più utili alla cellula in un dato momento.

L’ultimo numero della rivista “Science” riporta un risultato che, a detta dei ricercatori del Babraham Institute e dell’Università di Cambridge che ne sono gli autori, potrebbe consentire importanti progressi in questo ambito di studi e, di riflesso, nella medicina dello sviluppo e in quella rigenerativa: un nuovo tipo di sequenziamento che permette di “vedere” i processi epigenetici che avvengono nel DNA con un’altissima risoluzione.

Un processo cruciale per la regolazione dell’espressione genica è la metilazione – l’aggiunta di un gruppo metile alla base citosina – che ha l’effetto di “spegnere” il gene interessato dal legame: la modificazione chimica così ottenuta è detta 5-metil-citosina (5mC). Ma c’è un’altra modificazione genica simile che riveste un’enorme importanza nei mammiferi: la 5-idro-metil-citosina (5HmC) che, secondo precedenti studi, sarebbe implicata in particolare in alcune funzioni delle cellule staminali cruciali nello sviluppo dell’organismo.

In quest’ultimo studio, è stato inventato un nuovo processo chimico che permette il sequenziamento dei geni 5hmC in tutto il DNA con la risoluzione di una singola base. Nel corso della sperimentazione, la tecnica è stata applicata per sequenziare la 5hmC e 5mC nel DNA genomico di cellule staminali embrionali. 

“Di recente è divenuto chiaro che oltre alla metilazione del DNA esistono altre modificazioni come per

esempio l’idrometilazione: questo suggerisce che le modificazioni del DNA siano più dinamiche di quanto ritenuto finora”, sottolinea Wolf Reik, che ha guidato il gruppo del Babraham Institute. “Con il nostro nuovo metodo, siamo ora nella posizione di mappare queste modificazioni con grande precisione, e di collegarle alle funzioni delle cellule staminali, all’invecchiamento e forse più in generale all’interazione tra ambiente e genoma”.

La speranza è che la 5hmC rappresenti un marcatore genetico a sé stante o eventualmente parte del processo che rimuove i gruppi metile dal DNA, permettendo ai geni di essere riattivati.

“In questo ambito di studi è concreta la necessità di mappare sia la 5hmC e la 5mC nel genoma in modo quantitativo e con un’alta risoluzione”, ha concluso Miguel Branco, ricercatore del Babraham Institute che ha partecipato allo studio. “Applicando la tecnica alle cellule staminali embrionali, abbiamo riconosciuto immediatamente le sue potenzialità nel permettere un notevole avanzamento di conoscenze delle funzioni di queste modificazioni del DNA”.

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