Fibrillazione atriale e ictus: il paziente ha diritto alla prevenzione

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In un Convegno tenutosi oggi al Senato della Repubblica sono stati messi in luce i principali elementi per costruire un corretto ed efficace percorso diagnostico e terapeutico volto a ridurre il rischio di ictus in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, dove il paziente assume un ruolo attivo e responsabile.

Roma, 22 maggio 2012 – Garantire una migliore diagnosi e trattamento della Fibrillazione Atriale e più efficaci misure per prevenire l’ictus ad essa collegato, facendole diventare una priorità sanitaria nazionale; migliorare le conoscenze e la pratica clinica del personale sanitario per garantire ai pazienti un trattamento appropriato durante tutto il percorso assistenziale; creare Registri Nazionali degli Ictus per registrare in modo sistematico e accurato l’incidenza, la prevalenza e gli esiti delle persone con ictus correlato alla Fibrillazione Atriale; promuovere campagne di informazione per aumentare la consapevolezza dei cittadini sulla patologia e sui suoi rischi.

 

Questi alcuni dei principali punti contenuti nella “Carta Globale del Paziente con Fibrillazione Atriale” presentata per la prima volta in Italia in occasione del Convegno dal titolo: “Fibrillazione Atriale e Ictus Evitabile: dalla prevenzione alle prospettive terapeutiche, attraverso percorsi gestionali a misura di cittadino” che si è svolto oggi presso il Senato della Repubblica organizzato dalla Fondazione Charta, con il patrocinio del Senato, dell’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione, di Cittadinanzattiva, di Alice-Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale, della Società Italiana di Medicina Generale e con il supporto non condizionato di Bayer.

La Carta Globale del Paziente con Fibrillazione Atriale, realizzata a livello internazionale da oltre 40 tra Società Scientifiche e Associazioni pazienti tra cui, per l’Italia, Cittadinanzattiva e Alice – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale contiene le principali raccomandazioni che Istituzioni, Aziende Sanitarie, Enti Regolatori e Governi Nazionali dovrebbero attuare per salvare vite umane, migliorare la vita dei pazienti, ridurre l’impatto della malattia e gli enormi oneri ad essa collegati.

 

La fibrillazione atriale è una frequente anomalia del ritmo cardiaco a causa della quale il sangue, non pompato più correttamente, ristagna all’interno delle camere superiori del cuore (gli atri), favorendo la formazione di trombi che, se entrano nel circolo sanguigno, possono arrivare al cervello e provocare un ictus cerebrale. Attualmente si stima che in Europa oltre 6 milioni di persone siano affetti da questa patologia, anche se ci si aspetta un’ulteriore crescita, in quanto legata all’invecchiamento della popolazione.

 

Questa aritmia cardiaca è causa del 15-20% di tutti gli ictus trombo embolici, il disturbo cardiovascolare più comune dopo le cardiopatie, che colpisce 9,6 milioni di persone in Europa, con un’incidenza di 2 milioni di soggetti l’anno. Inoltre gli ictus collegati a fibrillazione atriale sono più gravi, provocano invalidità maggiori e sono associati a un aumento del 70% del tasso di mortalità rispetto agli eventi che colpiscono chi non ne è affetto.

 

“La Fibrillazione Atriale non è solo l’aritmia cardiaca più comune ma rappresenta anche un fattore di rischio importante di ictus ischemico. Per questo è importante esercitare misure preventive e di diagnosi, trattamento e monitoraggio, proprio con lo scopo di evitare mortalità e/o disabilità da ictus, promuovendo la prevenzione anche attraverso: la sensibilizzazione della popolazione sui fattori di rischio, l’individuazione precoce dei soggetti affetti da cardiopatia per evitarne l’aggravamento e gli eventi acuti, e l’identificazione dei pazienti a maggiore rischio per sviluppare modelli di intervento. – ha dichiarato il Senatore Antonio Tomassini, Presidente XII Commissione Igiene Sanità del Senato e Presidente dell’Associazione Parlamentare per la Tutela e la Promozione del Diritto alla Prevenzione – La prevenzione, dunque, diventa l’elemento cruciale nella lotta a questa patologia. Prevenzione che inizia da una corretta diagnosi, fino all’applicazione di un adeguato regime terapeutico, che sarà tanto più efficace, quanto più affidato al contributo di più attori, all’interno di un sistema inter-professionale, inter-disciplinare e multi-disciplinare”.

 

“L’attività preventiva andrebbe attuata su tre livelli – aggiunge Claudio Cricelli, Presidente SIMG, Società Italiana di Medicina Generale – Innanzi tutto la prevenzione che precede l’insorgenza della Fibrillazione Atriale. In questo caso rientra il monitoraggio delle patologie cardiovascolari su una popolazione sana, con fattori di rischio predisponenti, che presuppone un’attività informativa nei confronti dei cittadini e dei clinici affinché sorveglino attentamente questa fascia di popolazione. Il secondo step riguarda la prevenzione e la cura nei soggetti che hanno avuto uno o più episodi di Fibrillazione Atriale, trattando il fenomeno aritmico con interventi di tipo farmacologico, elettrico o anche chirurgico (ablazione). Infine – conclude Cricelli – un terzo livello riguarda la prevenzione delle complicanze della Fibrillazione Atriale, decidendo tempestivamente, quando necessaria, la prescrizione di una terapia anticoagulante”.

 

Il gold standard della profilassi farmacologica è rappresentato da anticoagulanti orali antagonisti della vitamina K che presentano, tuttavia, alcune difficoltà di gestione per le molteplici interazioni con alimenti o con altri farmaci che ne variano l’assorbimento e per l’alta variabilità di risposta inter-individuale. La conseguenza più importante è l’impossibilità di stabilire un dosaggio fisso e la necessità di frequenti controlli ematologici per un eventuale aggiustamento del dosaggio. Per questi motivi, tali farmaci non vengono usati con regolarità o vengono troppo spesso abbandonati dai pazienti.

 

“Nonostante la terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K sia molto efficace nei pazienti con Fibrillazione Atriale per la prevenzione dell’ictus, nella pratica clinica esistono problematiche relative a questo trattamento – dichiara Giuseppe Di Pasquale, Direttore del Dipartimento Medico dell’ASL di Bologna e Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale Maggiore di Bologna – Innanzi tutto si assiste a un ‘sottotrattamento’ dei pazienti. La percentuale dei soggetti a rischio di ictus a cui viene prescritta una terapia anticoagulante, infatti, è di circa il 50%. Questo perché, da un lato, a volte, non c’è la percezione che il paziente abbia un pericolo elevato di ictus, dall’altro per il timore del rischio emorragico, in particolare negli anziani, più esposti a cadute accidentali e al sanguinamento intracranico, anche se la letteratura scientifica dimostra che nei pazienti con fibrillazione atriale trattati con anticoagulanti questo rischio sia sicuramente superato dai vantaggi del trattamento. Si deve, infine, considerare – aggiunge Di Pasquale – la difficoltà di gestione pratica del trattamento farmacologico, in particolare in alcune regioni soprattutto del sud Italia, dove l’accesso a un monitoraggio regolare, specie per le persone anziane, diventa alquanto problematico. Per questa serie di motivi il 30% circa dei pazienti che iniziano una terapia con anticoagulanti orali la sospendono entro un anno.

Da qui deriva – conclude Di Pasquale – l’interesse e l’attesa della comunità medico scientifica nei confronti dei nuovi anticoagulanti orali a dosi fisse, con un buon profilo di sicurezza sulle emorragie, che non richiedono il monitoraggio di routine della coagulazione”.

 

Alcuni recenti stime suggeriscono che una terapia anticoagulante ottimale dei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale e seguita da questi ultimi in modo adeguato, potrebbe evitare una parte rilevante dei circa 20.000 episodi di ictus all’anno attribuibili alla Fibrillazione Atriale stessa.

 

“E’ vero che le nuove molecole di prossima introduzione sul mercato italiano presenterebbero costi superiori rispetto ai trattamenti in uso – dichiara Lorenzo Mantovani, Docente di Farmacoeconomia all’Università Federico II di Napoli – ma si deve considerare che in questi pazienti, le terapie concomitanti (spesso anche 4-5 farmaci al giorno per comorbilità) hanno visto diminuire il loro costo grazie alle scadenze brevettuali. Per questo motivo si sono liberate risorse che potrebbero essere investite nei nuovi rimedi terapeutici”.

 

In questo contesto, diventa fondamentale una gestione interdisciplinare del paziente con Fibrillazione Atriale a rischio di ictus, in particolare con lo specialista neurologo al quale spetta un’attribuzione di competenze per ottimizzare l’accesso alla terapia anticoagulante, migliorando, così la prevenzione.

 

 

“Al neurologo spetta, infatti, il compito di verificare attentamente i casi a rischio embolico, affinché non ci siano errori diagnostici nell’adozione della terapia anticoagulante e soprattutto evitare o monitorare con maggiore attenzione le situazioni in cui il rischio di emorragia intracranica è più elevato – afferma Leandro Provinciali, Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Direttore della Clinica Neurologica Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche – La riduzione delle complicanze emorragiche può portare a un beneficio clinico rilevante, con una valenza sociale, oltre che individuale. Non dobbiamo dimenticare poi, che una prevenzione anticoagulante – continua Provinciali – può evitare altri danni cerebrali favoriti da un’embolia cardiaca, come la demenza vascolare, altrettanto disabilitante rispetto all’episodio ictale acuto. Di grande rilevanza, poi, aggiunge Provinciali – l’addestramento del paziente all’inizio della terapia attraverso un più ampio accesso alle informazioni e una collaborazione costante con il Medico di famiglia, al quale è demandato un ruolo cruciale nella continuità del trattamento. Educare e incoraggiare i pazienti ad assumere un ruolo più attivo nel processo di decisione, nella definizione degli obiettivi e nella valutazione degli esiti è, infatti, spesso associato a esiti clinici migliori”.

 

“Ed è proprio da questo assunto che nasce la Carta Globale dei Pazienti – continua Teresa Petrangolini, Segretario Generale di Cittadinanzattiva – con la quale, per la prima volta, si è riusciti a puntare i riflettori sui diritti del paziente, per capire cosa si aspetta un cittadino nel momento in cui si trova a dover affrontare un problema di salute importante, che può portare a conseguenze gravi e invalidanti. Impostazione, questa, che negli ultimi anni l’Europa attribuisce alle politiche sanitarie. La prevenzione è largamente condizionata dai comportamenti dei cittadini – aggiunge Petrangolini – che devono diventare attori di questo processo. Processo che, a sua volta, deve fare parte di una politica globale che tenga in massima considerazione comportamenti individuali, disponibilità di strutture, strumenti, trattamenti farmacologici, attività professionali e l’empowerment del paziente. Noi ci auguriamo che questa Carta possa contribuire a sollecitare i Governi nazionali affinché facciano la loro parte e sostengano programmi di sensibilizzazione, informazione e prevenzione. Attività, queste, che finora vengono proposte o dall’Europa o dalle Comunità locali, difficilmente dalle Istituzioni nazionali”.

 

Il fatto che il cittadino debba essere protagonista delle scelte che riguardano la propria salute, e che questo si realizzi con la promozione della sua partecipazione attiva nei processi sanitari che lo coinvolgono è ribadito da Maria Luisa Sacchetti, Presidente Onorario di ALICE – Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale: “La Fibrillazione Atriale è una patologia difficilmente comunicabile, perché spesso asintomatica. Perciò esiste una scarsa conoscenza della patologia e dei rischi ad essa collegati. Recentemente la nostra Associazione insieme all’Università degli Studi di Firenze e al Censis ha realizzato un’indagine, intervistando 1.000 cittadini italiani, dalla quale emerge che 77 persone su 100 affermano di sapere che cosa sia l’ictus, ma di questi, solo 50 rispondono che è una malattia che colpisce il cervello. Quando, poi, si è chiesto di individuare quali fossero i fattori di rischio per l’ictus, al 1° posto viene nominata l’ipertensione, al 2° le dislipidemie, al 5° il diabete, al 6° le malattie cardiache (solo l’8% degli intervistati). Nella realtà sappiamo che il 58% dei pazienti che hanno avuto un ictus sono malati di cuore, il 40% dei quali soffre di Fibrillazione Atriale. Questo – continua Sacchetti – è un gap di informazione molto grave che va colmato con campagne di informazione sulla patologia mirate realizzate da esperti, come è altrettanto importante che nel Piano Nazionale di Prevenzione, la Fibrillazione Atriale venga citata insieme agli altri fattori di rischio dell’ictus”.

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