Scoperta nuova malattia genetica, simile all’Alzheimer
Non ha un nome, ma ha già un identikit ben preciso la malattia genetica descritta per la prima volta studiando i componenti di una famiglia francese da un team internazionale coordinato dall’equipe di Vittorio Bellotti del Dipartimento di Medicina Molecolare Università di Pavia e del Center for Amyloidosis and Acute Phase Proteins dello University College London. Il “tallone d’Achille” è una versione mutata della proteina umana beta-2 microglobulina, che si traduce nella perdita della sua struttura. La conseguenza è una amiloidosi, materiale proteico che “tracima” in forma di fibre allungate e robuste dalle cellule e va a depositarsi in tessuti e organi con effetti tossici. La scoperta a cui ha partecipato anche il Laboratorio di Biologia Strutturale del Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano sarà pubblicata domani sul New England Journal of Medicine.
La scoperta è stata possibile a seguito della individuazione di alcuni componenti di una famiglia francese afflitti da problemi cronici di funzionalità intestinale, che portavano a un calo di peso eccessivo. Nel corso degli anni nella stessa famiglia si sono manifestati problemi neurologici e numerosi decessi.
Questo ha suggerito ai ricercatori la presenza di una nuova malattia. L’analisi biochimica dei tessuti dei pazienti affetti – fegato, milza, reni, ghiandole salivari – ha evidenziato la presenza di fibrille amiloidi prodotte da una versione mutata della proteina “incriminata”.
Le malattie da amiloidosi note sono 27, con l’aggiunta della nuova appena scoperta. La più nota è l’Alzheimer, in cui ammassi di proteina amiloide si depositano nel cervello “soffocando” i neuroni fino a influenzare i centri deputati alla memoria in modo progressivo. “Dire quanto sia comune questa nuova malattia genetica è molto difficile – spiega Bellotti -. In primo luogo non se ne conosceva fino ad oggi l’esistenza, perciò bisognerà analizzare altri casi, da individuare tra pazienti con sintomi intestinali analoghi e che non trovano diagnosi adeguata”.
“La comprensione dei meccanismi biochimici e biofisici con cui le molecole proteiche perdono la loro struttura e si aggregano in fibrille è di fondamentale importanza – spiega Stefano Ricagno dell’Università di Milano -. Diversi aspetti sono stati chiariti, ma restano ad oggi molti punti oscuri”. Per questo il lavoro sulle terapie future si presenta molto lungo. “La ricerca sulle malattie rare oltre a rispondere a motivazioni etiche possa avere importanti ricadute nella comprensione di malattie più comuni – spiega Martino Bolognesi dell’Università di Milano -. È fondamentale che il sistema Italia mantenga un livello di attenzione adeguato per la formazione e crescita della comunità scientifica”.