Fecondazione eterologa: la Cassazione sottolinea che il padre può disconoscere
Nel caso in cui a una coppia sposata nasca un figlio con la fecondazione eterologa, senza che a tale pratica di inseminazione – peraltro vietata in Italia – il marito abbia dato il suo consenso, l’uomo ha un anno di tempo per azionare le procedure del disconoscimento di paternita’ a partire dal momento in cui viene a sapere che il bambino non e’ stato generato da lui. Se lascia passare tale termine, deve rassegnarsi a essere padre a tutti gli effetti del figlio nato, a sua insaputa, da seme altrui. Lo sottolinea la Cassazione.
Con questa decisione – sentenza 11644 – i supremi giudici hanno respinto il ricorso di un marito con problemi di fertilita’ che aveva dato il suo consenso a che la moglie si sottoponesse a fecondazione omologa. In seguito a vari e inutili tentativi, la coppia – residente a Torino – smise le inseminazioni e dopo qualche tempo la moglie disse di essere rimasta incinta per vie naturali. La bimba nacque nel 2002 e poi i genitori, Roberto e Barbara, si separarono 2004. La donna ando’ a vivere con un nuovo compagno verso il quale l’ex marito nutriva ‘disagio’ per l’affetto che dimostrava alla bambina.
Nel 2005, Barbara dopo aver partorito un figlio nato dal nuovo partner, ‘inizia a propalare la notizia che la bimba avuta dall’ex marito era frutto di inseminazione artificiale eterologa’. La voce, nella primavera di quell’anno, arriva anche all’orecchio di Roberto tanto che tronca ogni rapporto con la bimba che credeva sangue del suo sangue. Si sottopone ad analisi ottenendo una diagnosi di ‘severissima infertilita’.
Si rivolge al centro torinese di inseminazione dove apprende che la moglie non aveva effettuato alcun tipo di eterologa in quella sede, pur non potendosi escludere che fosse ricorsa per sua sola scelta a ‘inseminazione non lecita’. Sempre piu’ avanza nella mente dell’ex marito il sospetto che la bimba, cosi’ come il secondo bambino concepito dalla ex moglie, fosse in realta’ il frutto biologico del nuovo partner, o precedente amante che dir si voglia. Ma intanto che Roberto raccoglie tutte le sue drammatiche prove, il tempo passa e l’azione per il disconoscimento viene depositata solo nel gennaio 2007. Troppo tardi. Tribunale e Corte di Appello bocciano la sua istanza.
Stessa cosa fa la Cassazione con una premessa importante, e nuova, che prende atto che i tempi mutati e le nuove tecnologie consentono di dare la prevalenza alla ricerca della verita’ sulle proprie origini (favor veritatis) rispetto al diritto a mantenere lo stato di figlio legittimo (favor legitimationis).
Per cui di tale nuovo orientamento, piu’ in linea con i tempi, possono giovarsi anche i padri animati da sospetti sull’origine della prole nata in provetta, a condizione, pero’, avvertono i supremi giudici, che mettano mano alla causa di disconoscimento entro i dodici mesi successivi al tremendo dubbio. Ossia entro lo stesso lasso di tempo fissato pure nel caso di figli concepiti in maniera ‘tradizionale’ dei quali, pero’, si sospetta un dna infedele. E questo vale ‘soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui non risulti un consenso preventivo del coniuge all’inseminazione’.
Anche se hanno condannato Roberto B. a essere padre, i supremi giudici lo hanno esonerato dalle spese processuali per riguardo alla ‘complessita’ dei temi trattati e all’assenza di precedenti nel senso della decisione adottata’.