Glioblastoma: una fusione di geni alla base dell’insorgenza
La proteina prodotta da un gene anomalo, frutto della fusione patologica di due geni denominati FGFR e TACC, interferisce direttamente con il processo di divisione cellulare. Questa fusione è responsabile del tre per cento dei casi di glioblastoma e supporta l’ipotesi secondo cui non vi sia un’unica anomalia responsabile della maggior parte dei casi, ma una varietà di fusioni geniche, ciascuna all’origine di una piccola percentuale di tumori, per i quali è necessaria una terapia specifica.
All’origine di un particolare tipo di glioblastoma, la forma più comune e aggressiva di tumore primario del cervello, c’è la fusione di due geni adiacenti. Dallo studio, condotto da ricercatori del Columbia University Medical Center e dello Herbert Irving Comprehensive Cancer Center (HICCC) a New York diretti da Antonio Iavarone e Anna Lasorella e ora pubblicato su “Science”, è emerso anche che nel topo l’uso di farmaci diretti contro la proteina anomala prodotta da questa aberrazione genetica può rallentare notevolmente la crescita del glioblastoma.
“I nostri risultati sono doppiamente importanti”, ha osservato Iavarone. “Da un punto di vista clinico, abbiamo identificato un obiettivo farmacologico per un tumore al cervello dagli esiti particolarmente infelici. Dal punto di vista della ricerca di base, abbiamo trovato il primo esempio di una mutazione che avvia il tumore, poiché influisce direttamente sul modo in cui le cellule si dividono, causando instabilità cromosomica. Questa scoperta ha implicazioni per la comprensione di glioblastoma, ma anche di altri tipi di tumori solidi.”
Iavarone e colleghi sono partiti dall’ipotesi secondo cui i glioblastomi possano essere dipendenti da proteine prodotte da fusioni di geni, in analogia a quello che avviene per altri tumori, come la leucemia mieloide cronica. Grazie allo sviluppo di un nuovo metodo per analizzare materiale genomico della cellula, i ricercatori sono riusciti a individuare, in campioni di tessuto tumorale, alcuni tipi di fusione, la più comune delle quali coinvolgeva i geni FGFR (recettori dei fattori di crescita dei fibroblasti) e TACC (transforming acidic coiled-coil).
La proteina prodotta dal nuovo gene FGFR-TACC è in grado di interrompere il fuso mitotico, la struttura cellulare che guida la mitosi, il processo attraverso cui una cellula si divide in due cellule figlie identiche: “Se questo processo avviene in modo non corretto, si ottiene una distribuzione ineguale dei cromosomi. Questa condizione, che è conosciuto come aneuploidia, è ritenuta un segno distintivo di oncogenesi”, ha detto Iavarone.
I successivi esperimenti hanno mostrato che l’introduzione del gene FGFR-TACC in cellule cerebrali di topi sani portava allo sviluppo di un glioblastoma nel 90 per cento dei casi. La somministrazione di un farmaco che inibisce la FGFR chinasi, un enzima essenziale alla funzionalità “deviata” della proteina FGRF-TACC, permetteva invece di controllare le mitosi anormale e di raddoppiare il tempo di sopravvivenza.
Rappresentazione grafica della collaborazione tra biologia sperimentale e computazionale. L’anello esterno rappresenta i risultati del sequenziamento del genoma di glioblastoma, che mostra l’ espressione della fusione FGFR-TACC (picchi rossi). Al centro, la proteina della fusione FGFR-TACC (in rosso) interrompe i fasci di tubulina (in verde), le strutture che supportano la divisione cellulare, nel punto di collegamento fra le due cellule figlie, i cui nuclei sono di colore blu) (Cortesia Antonio Iavarone, Joseph Chan, Oliver Elliott, Raul Rabadan / Columbia University Medical Center)
Questa specifica fusione genica, ha spiegato Anna Lasorella, è stata osservata solo nel tre per cento dei tumori studiati, quindi qualsiasi terapia sviluppata sulla base di questa particolare aberrazione genetica si applicherebbe solo a un piccolo sottogruppo di pazienti con glioblastoma. “Anche se è improbabile che troveremo una fusione genica responsabile della maggior parte dei glioblastomi, potremmo essere in grado di scoprire una serie di altre fusioni geniche, ciascuna delle quali relativa a una piccola percentuale di tumori e ciascuna con una terapia specifica”.
Alla luce di queste scoperte, ha concluso Iavarone, “l’importanza del tessuto di origine di un tumore diventa molto più piccola rispetto alla possibilità di sviluppare una terapia personalizzata contro un’alterazione genetica osservata in un determinato paziente, indipendentemente da che tipo di tumore abbia. Ed è esattamente quello che fa il nostro studio, applicando per la prima volta questo concetto al tumore al cervello e ponendo le basi per una terapia personalizzata di un tumore attualmente incurabile”.