Epatite C: con Telaprevir un approccio terapeutico più rapido ed efficace

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Con il prossimo lancio sul mercato di un nuovo antivirale ad azione diretta, aumentano le probabilità di guarigione in minor tempo.

L’importanza di far emergere il ‘sommerso’ delle persone infettate dal virus HCV attraverso screening di massa.

La comunità medico scientifica propone nuovi modelli organizzativi per trarre i maggiori benefici dall’innovazione terapeutica

 

Milano, 24 settembre 2012 – In seguito alla recente approvazione della rimborsabilità da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco, sta per essere lanciato sul mercato italianotelaprevir, un nuovo farmaco contro l’Epatite C.

Si tratta di un importante passo avanti nella lotta contro l’infezione da HCV, dal momento che il nuovo farmaco offre un regime terapeutico più efficace rispetto alla terapia standard e può offrire un ciclo terapeutico più breve. Telaprevir, infatti, è in grado di ridurre della metà l’attuale durata del trattamento nella maggioranza dei pazienti naïveo recidivanti.

Telaprevir, frutto della ricerca congiunta tra Vertex e Janssen, è un antivirale ad azione diretta (DAA), inibitore potente e selettivo della proteasi non strutturale 3/4A del virus HCV, approvato dall’EMA per l’impiego in associazione con peginterferone-alfa e ribavirina (terapia standard) per il trattamento dei pazienti adulti affetti da epatite C cronica di genotipo 1, che rappresenta il 60% delle infezioni globali ed è il più difficile da eradicare.

Le evidenze arrivano da tre studi clinici di Fase III in cui sono stati trattati 2.290 pazienti: gli studi ADVANCE e REALIZE hanno analizzato l’efficacia e la sicurezza di telaprevir in combinazione con interferone pegilato e ribavirina (triplice terapia) rispetto alla duplice terapia. I risultati dello studio ADVANCE mostrano che il regime terapeutico a base di telaprevir incrementa significativamente la percentuale di guarigione dall’infezione cronica da HCV di genotipo 1 rispetto alla terapia standard nei pazienti naïve al trattamento (79% vs 46%). Lo studio REALIZE ha, inoltre, dimostrato un incremento della percentuale di guarigione nei pazienti con una precedente recidiva ed in quelli che avevano avuto una risposta parziale a trattamenti precedenti con la terapia duplice, rispettivamente dell’84% vs 22% e del 61% vs 15%, e nei null responder del 31% vs 5%.

I risultati dello Studio clinico di Fase III ILLUMINATE, poi, che ha analizzato la risposta dei pazienti naïve affetti da Epatite C cronica di genotipo 1 alla terapia con telaprevir in combinazione con la terapia standard, hanno dimostrato la non inferiorità del regime terapeutico a base di telaprevir della durata di 24 settimane rispetto a quella di 48 settimane nei pazienti, non cirrotici, che avevano un HCV RNA non rilevabile alle settimane 4 e 12 di trattamento (eRVR).

Di questi, infatti, il 92% dei pazienti appartenenti al gruppo randomizzato trattato per 24 settimane ha raggiunto una risposta virologica sostenuta (SVR), rispetto al 90% di quelli del gruppo trattato per 48 settimane.

La rapida riduzione della carica virale di HCV (Risposta Virologica Rapida) osservata con l’impiego della triplice terapia a base di telaprevir alla 4a settimana di trattamentoconsente di valutare precocemente l’andamento della terapia sia nei pazienti naïve, sia in quelli precedentemente trattatiLa valutazione della RVR, che con la triplice con telaprevir si raggiunge in circa il 70% della popolazione (esclusi i null responder al precedente trattamento, dove si raggiunge nel 26%), diventa un elemento molto utile in tutte le tipologie di pazienti in quanto predittivo di SVR, ovvero di guarigione per il paziente e permette anche di capire se un paziente stia rispondendo o meno al trattamento. In questa seconda ipotesi, infatti, si interromperebbe la terapia per evitare una ulteriore esposizione ai farmaci, evitando così anche un inutile spreco di risorse.

L’aggiunta di telaprevir alla terapia standard può determinare la comparsa di ulteriori eventi avversi rispetto a quelli riscontrati con la duplice terapia, in particolare un aumento dell’anemia e la comparsa di eruzioni cutanee e prurito ma, nella maggior parte dei casi, questi eventi possono essere gestiti con un attento monitoraggio del paziente e con opportuni aggiustamenti del dosaggio  della ribavirina.

Alla luce di questi elementi, è possibile affermare che telaprevir determinerà una vera e propria “rivoluzione” terapeutica nella lotta contro l’Epatite C, ma questa, come altre importanti innovazioni, impongono strategie di intervento e modelli organizzativi adeguati da parte degli operatori sanitari e dei centri specialistici preposti alla cura dei pazienti.

“Con i nuovi antivirali ad azione diretta – dichiara il Professor Massimo Colombo, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Milano – siamo in grado di elevare complessivamente le possibilità di guarigione di un 30-40%, rendendo più efficienti le nostre opportunità di cura. D’altro canto, questi farmaci introducono algoritmi di cura più complessi rispetto alla terapia standard. Per questo motivo, per poter cogliere da questa innovazione terapeutica i maggiori vantaggi, è importante creare una rete di centri ospedalieri idonei a trattare i pazienti con le nuove molecole. A questo proposito la Regione Lombardia – continua Colombo – si sta attrezzando, in quanto ha già costituito un Gruppo di lavoro che darà vita ad una rete ospedaliera in grado di far afferire i pazienti ai presidi presenti sul territorio, centralizzando presso  Laboratori “esperti” l’analisi, ad esempio, dei campioni biologici, per velocizzare i risultati delle risposte virologiche, necessarie per adeguare gli algoritmi di cura all’introduzione dei nuovi farmaci. Questo “modello” prevede la consultazione on line degli esiti da parte dei medici, permettendo anche ai centri con minore esperienza di avvalersi dei presidi tecnici che solo talune aziende ospedaliere possiedono, evitando al paziente spostamenti anche gravosi.”

“Con le terapie più recenti che stanno per essere introdotte possiamo dire di essere entrati in una nuova era per quanto riguarda il trattamento dell’Epatite C – dichiara ilProfessor Antonio Craxì, Ordinario di Medicina Interna e Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Palermo – ma per poter accedere alle terapie più adeguate bisogna innanzitutto sapere di essere stati infettati. Può sembrare un paradosso – continua Craxì – ma oggi sappiamo come combattere il virus, abbiamo a disposizione farmaci che si sono dimostrati efficaci nell’eradicazione del virus stesso, eppure ci troviamo ancora a parlare di ‘emergenza Epatite C’, perché manca nell’opinione pubblica la consapevolezza che questa malattia esista e sia molto grave, in quanto responsabile di cirrosi epatica, epatocarcinoma, oltre ad essere la principale indicazione per il trapianto di fegato nel mondo occidentale”.

“Si stima che solo il 10-15% degli infettati sappia di esserlo. Diventa prioritaria, quindi, una strategia volta all’identificazione precoce della malattia e all’ottimizzazione del percorso diagnostico-terapeutico assistenziale mirato a prevenirne l’evoluzione. E questo dovrebbe far considerare l’ipotesi di politiche di screening di massa per Epatite Cvolte a far emergere il ‘sommerso’ e a promuovere un utilizzo appropriato, e per questo sostenibile, delle nuove terapie, con l’obiettivo di diminuire il tasso di mortalità HCV – correlato.”

Come portavoce delle istanze di molti pazienti che l’Associazione rappresenta, Ivan GardiniPresidente dell’Associazione Onlus EpaC sostiene che: “Il numero sempre più elevato di pazienti che grazie ai nuovi farmaci potranno bloccare l’evoluzione della malattia porterà, come naturale conseguenza, all’abbattimento dei costi di gestione e di ospedalizzazione dell’epatite C cronica e delle sue temibili complicanze (cirrosi, tumore e trapianto di fegato), nonché un deciso miglioramento della qualità di vita per il paziente e per il suo nucleo familiare. Ci sono buoni motivi per pensare che fra 5-10 anni l’Epatite C sarà curabile nella maggior parte dei pazienti, ma in questo lasso di tempo dobbiamo occuparci da subito di quei pazienti più a rischio di altri, per i quali le nuove molecole rappresentano l’unica opzione terapeutica, cercando di salvare quante più vite possibili. Per questo – conclude Gardini – ci aspettiamo il sostegno di tutti e in particolare delle Regioni per  avere un accesso immediato ai nuovi trattamenti.” 

“Gli enormi progressi compiuti dalla ricerca farmacologica e la conseguente offerta di soluzioni terapeutiche all’avanguardia, mirate al massimo recupero dei pazienti affetti da malattie gravi e invalidanti, hanno rivoluzionato l’approccio alla cura delle stesse. – ha dichiarato Massimo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Janssen Italia – Molti farmaci, oltre ad offrire nuove opportunità terapeutiche, possono al contempo  ottimizzare la spesa sanitaria grazie ad una più efficiente gestione del paziente.”

“In Janssen sviluppiamo da sempre soluzioni innovative – conclude Scaccabarozzi – consapevoli che i trattamenti farmacologici più innovativi, per poter manifestare appieno le proprie potenzialità, richiedano la creazione di un terreno adeguato, con modelli organizzativi ad hoc”.

 

Janssen Italia

Janssen è un’azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson fortemente impegnata nel dare risposte concrete ai principali bisogni clinici che non hanno ancora trovato un’adeguata soluzione terapeutica come, ad esempio, nel settore oncologico, in quello immunologico, nelle neuroscienze, nelle malattie infettive e nell’ambito cardiometabolico.

Guidati dal nostro impegno rivolto verso i pazienti, sviluppiamo soluzioni terapeutiche innovative, lavorando a stretto contatto con i principali stakeholder del settore medico-sanitario.

Per maggiori informazioni consultare:  http://www.janssen-italia.com

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