Tumore alla prostata: cani-spia riescono a “fiutarlo”, ipotesi da studiare anche in Italia
L’olfatto dei cani come arma per svelare la presenza di un tumore prostatico. Questo metodo, considerato attendibile nel 91% dei casi, sarà protagonista di uno studio italiano condotto su esemplari di Pastore tedesco, annunciato al 19esimo Congresso nazionale dell’Associazione urologi italiani (Auro.it) che si svolge a Genova fino al 22 settembre. Lo studio sui cani sarà condotto da Gianluigi Taverna dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano), in collaborazione con il tenenete colonnello Lorenzo Tidu del Centro militare veterinario dell’Esercito e patrocinato dallo Stato maggiore della Difesa.
“Il protocollo di ricerca italiano rappresenta, attualmente, la più importante esperienza in ambito diagnostico per il cancro della prostata, e si prevede possa essere completato nell’arco di 3 anni”, stima Taverna, della Sezione di patologia prostatica dell’Unità operativa di urologia dell’Istituto Humanitas diretta da Pierpaolo Graziotti, neo-presidente di Auro, che aggiunge: “Negli ospedali è presumibile che non vedremo i cani come ci capita negli aeroporti, ma resta ‘la magia’ che animali, opportunamente addestrati, siano più affidabili di qualsiasi attuale test diagnostico nel identificare un paziente con neoplasia prostatica”.
Al vaglio degli esperti l’affidabilità delle capacità olfattive dei cani nello scoprire, dalle urine dei pazienti, la presenza di un tumore della prostata. I dati fino ad ora raccolti da alcune limitate esperienze internazionali risultano sorprendenti, evidenziando una sensibilità diagnostica otto volte superiore a quella delle procedure cliniche attualmente utilizzate.
“Per tale scopo – continua Tidu – verranno impiegati alcuni cani di razza Pastore tedesco nati e allevati al Centro militare veterinario di Grosseto. Attraverso un addestramento basato su sistemi a rinforzo positivo e tramite il clicker training, questi cani saranno in grado di individuare tramite l’olfatto i campioni urinari provenienti da soggetti con tumore prostatico e segnalarli all’addestratore, mentre dovranno ignorare i campioni di controllo, ossia quelli proveniente da uomini sani”.
L’urina dei malati “ha un odore particolare e specifico, che cani addestrati sono infatti in grado di percepire e riconoscere – continua Taverna – I primi studi risalgono al 1996, e grazie all’esperienza di diversi ricercatori le osservazioni in tal senso sono oggi solide scientificamente e molto incoraggianti. Lo scopo dello studio è quello di verificare, su un numero molto rilevante di pazienti, quanto riportato sperimentalmente e solo eventualmente considerare, sempre che i dati vengano confermati, il test su larga scala”. Si procederà in un secondo tempo “alla messa a punto di strumenti in grado di affiancare progressivamente l’operato dei cani”.
Questo sorprendente sistema potrebbe apportare un importante contributo nel percorso diagnostico del carcinoma prostatico, andando ad affiancare il test Psa, che consiste nella ricerca di una particolare proteina nelle cellule della prostata attraverso un esame del sangue, un marcatore “che presenta livelli di sensibilità e di specificità non ottimali”, concludono gli urologi.
(AdnKronos)