Ulcere venose: cellule spray
La terapia in una innovativa formulazione promettente nelle fasi avanzate dei disturbi circolatori delle gambe.
MILANO – Uno spray contenente cheratinociti (le principali cellule della pelle) e fibroblasti (cellule con funzione di sostegno presenti un po’ in tutto l’organismo e quindi anche nella cute) “fermati” con speciali tecnologie a uno stadio molto iniziale del loro sviluppo, sarebbe in grado di accelerare la guarigione delle ulcere della gambe. E se lo affermano su Lancet i ricercatori di più università statunitensi c’è da fidarsi.
LO STUDIO – «Abbiamo provato questa nuovo trattamento su circa 230 pazienti provenienti da 28 centri del Canada e degli Stati Uniti. Tutti soffrivano di insufficienza circolatoria venosa e avevano sviluppato fino a 3 ulcere degli arti inferiori, almeno una delle quali doveva avere una superficie di 2-12 cm² ed essere presente da almeno 6 settimane».
È Robert Kirsner del Dipartimento di Dermatologia e Chirurgia Cutanea dell’Università di Miami a fornire i dati di sintesi. «Sono state utilizzate diverse concentrazioni di cellule e vari intervalli di somministrazione dello spray (ogni settimana o ogni 2 settimane) e naturalmente è stato fatto il confronto con un placebo, una soluzione spray priva di cellule». Ovviamente tutti i pazienti sono stati medicati con bendaggi compressivi, uno standard nel trattamento delle ulcere venose. La risposta è stata piuttosto rapida, se si considera il decorso generalmente lento della condizione: «Dopo 12 settimane abbiamo osservato una significativa riduzione della superficie della ferita con gli spray arricchiti con i fibroblasti e i cheratinociti, che evidentemente avevano attecchito sulla lesione e avevano proliferato, riducendone i margini».
LO SCENARIO ATTUALE – Le ulcere venose sono una malattia piuttosto frequente (la stima è di 2,5 milioni di casi negli Stati Uniti) e spesso di difficile gestione: si infettano, sono dolorose, guariscono con difficoltà e lentamente (anche nei casi più fortunati), e recidivano. La terapia di prima linea che consiste in bendaggi compressivi, medicazioni, antibiotici locali funziona nel 30-70% dei casi. Lo spray rappresenterebbe una valida alternativa alle terapie di seconda linea attualmente disponibili, quelle che si adottano quando le lesioni si complicano e non si rimarginano più e che comprendono il trapianto di cute e i sostituti dermici. Questi ultimi sono formati da due componenti, una cellulare (cellule autologhe, cioè del paziente, staminali o già differenziate) e un supporto di materiale biocompatibile che ne sostiene la crescita e l’attecchimento; vengono sviluppati da una branca nascente della ricerca biomedica che va sotto il nome di ingegneria tessutale. Precisa lo studioso: «Gli innesti di cute o di sostituti dermici sono comunque tecnicamente piuttosto complicati e lunghi da preparare. Il paziente deve aspettare e nel frattempo rischia nuove infezioni; nel caso del trapianto c’è anche il disagio di un prelievo di cute da un’altra sede, quindi di una ferita aggiuntiva. Lo spray recupera l’idea che le cellule principali della pelle, cheratinociti e fibroblasti possano guidare il processo di rigenerazione cutanea, ma semplifica di molto le modalità di trattamento».