Cancro al rene: il parere del paziente determinante per la scelta dell’oncologo

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Quando due farmaci hanno efficacia sovrapponibile, la qualità di vita del malato diventa un elemento basilare nella scelta della terapia. Insomma, lo slogan ‘Io valgo’ usato per la pubblicità di prodotti femminili, funziona anche in medicina: i pazienti vogliono ‘contare’ quando si tratta di sottoporsi alle cure. E lo fanno confidando le loro valutazioni agli oncologi, che debbono individuare il farmaco più indicato per ogni singolo caso. La ‘rivoluzione culturale’ nell’approccio alla malattia neoplastica arriva da uno studio sui tumori del rene (Pisces), presentato oggi a Verona. Si tratta di un tipo di carcinoma diagnosticato ogni anno a 8.200 persone nel nostro Paese.
Lo studio clinico non si è limitato a stilare una lista di effetti collaterali ma ha chiesto ai malati se le differenze di tollerabilità fossero tanto significative da far loro preferire un farmaco piuttosto che l’altro (di pari efficacia) per proseguire la terapia. La ricerca ha messo a confronto due farmaci, pazopanib e sunitinib – entrambi a somministrazione orale – indicati per il trattamento del carcinoma a cellule renali metastatico, una patologia che interessa in Italia il 30% dei circa 8.200 pazienti a cui ogni anno viene diagnosticata una neoplasia ai reni e un ulteriore 40% nei successivi due anni. Dei 126 (su 168) pazienti che hanno completato il questionario, il 70% ha espresso il proprio favore per pazopanib, il 22% per sunitinib mentre l’8% non ha manifestato alcuna preferenza.

“Oltre ai tradizionali parametri di efficacia clinica – spiega Giacomo Cartenì, primario della Uo di Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli – sono in costante aumento le ricerche che mirano a valutare le differenze nel profilo di tossicità tra le diverse terapie disponibili. Lo studio Pisces, in particolare, ha inteso indagare se le differenze di tollerabilità tra due farmaci utilizzati nella comune pratica clinica fossero tanto significative da condurre un paziente a preferirne uno piuttosto dell’altro per la prosecuzione del trattamento. Va subito precisato che la condizione principale di questo tipo di indagini è che i farmaci messi a confronto abbiano la stessa efficacia. A quel punto la parola può e deve passare al diretto interessato, anche perché la percezione che può avere un medico sull’impatto di una determinata terapia non è la stessa che ha chi la assume e la sperimenta nella propria quotidianità. Ogni storia è diversa: un paziente, per esempio, potrebbe preferire e sopportare una tossicità pesante ma di breve durata rispetto ad un numero maggiore di effetti collaterali meno gravi ma di lunga durata. E se non glielo chiedo direttamente non lo saprò mai”.
La condizione principale per il confronto è la parità di efficacia dei farmaci presi in considerazione. Un dato che era già emerso raffrontando in modo indiretto le evidenze degli studi registrativi dei due farmaci, confermato dai risultati dello studio di confronto diretto denominato Comparz. Sono stati randomizzati 1.110 pazienti che hanno ricevuto il trattamento con pazopanib (800 milligrammi al giorno) o sunitinib (50 milligrammi al giorno) per quattro settimane, seguite da due settimane di non trattamento. La terapia è poi proseguita in entrambi i gruppi fino a quando i pazienti non hanno manifestato progressione di malattia, tossicità non accettabile o il desiderio di abbandonare lo studio.
Pazopanib non solo si è rivelato efficace quanto sunitinib ma su 14 parametri di qualità di vita presi in esame, 11 ne hanno evidenziato la superiorità. “Questo studio – dice Cora Sternberg, direttore del Reparto di Oncologia medica del San Camillo-Forlanini di Roma – ha dimostrato la non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib per quanto riguarda il periodo libero da progressione di malattia. La Pfs media è stata di 8,4 mesi nei pazienti trattati con pazopanib contro i 9,5 dei pazienti trattati con sunitinib. Il tasso di risposta obiettivo è invece risultato del 31% nei pazienti in terapia con pazopanib e del 25% nel braccio sunitinib. Per quanto riguarda la sopravvivenza totale media, abbiamo registrato 28,4 mesi nei pazienti del braccio pazopanib e 29,3 mesi nei pazienti seguiti con sunitinib”.
“Se il malato è consapevole, protagonista della cura, è più facile che segua anche le indicazioni del medico. Credo che lo studio Pisces abbia aperto una strada – conclude Cartenì – Studi come questo saranno sempre più frequenti, perché a fronte di farmaci con uguale efficacia dovrà essere il paziente ad esprimere la sua opinione”. “La misurazione dei risultati della terapia secondo i valori e le prospettive del paziente – spiega Giuseppe Recchia, direttore medico e scientifico di GlaxoSmithKline Italia – rappresenta un’evoluzione delle modalità di sviluppo del farmaco coerente con l’evoluzione della società e del ruolo che il paziente sta assumendo nelle decisioni terapeutiche”. In questo nuovo modello di sviluppo del farmaco basato sul valore, quelle raccolte dagli studio non sono “informazioni formali, utili solamente a documentare in modo accademico il profilo del farmaco, ma informazioni necessarie per orientare le decisioni di cura del paziente e, pertanto, in grado di determinare variazioni dei percorsi di cura ed assistenza precedentemente adottati”, conclude Recchia.

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