Tessuto renale creato in laboratorio: nuova speranza che risponde positivamente ai primi approcci
Il primo passo verso il rene artificiale sembra compiuto grazie allo sviluppo, in laboratorio, di nefroni a partire da cellule che potrebbero essere prelevate dallo stesso paziente. Una speranza per coloro che soffrono di insufficienza renale e che aspettano un trapianto arriva, infatti, da uno studio condotto dai ricercatori del Centro Anna Maria Astori del Mario Negri di Bergamo pubblicato sul Journal of American Society of Nephrology.
Gli scienziati guidati da Christodoulos Xinaris sono riusciti nel tentativo di trapiantare nei topi “cellule di reni immaturi che quindi già ‘sanno’ cosa devono fare”, spiega Xinaris. Non si tratta di staminali, ma di cellule renali programmate per diventare nefroni, la strutture del rene che svolgono la funzione filtrante dei reni. I nefroni “artificiali” conservano anche la capacità di produrre ormoni come l’eritropoietina.
“Fino a oggi – aggiunge Xinaris -, partendo da sospensioni di singole cellule embrionali, si erano prodotti tessuti che però non erano in grado di maturare ulteriormente verso un tessuto funzionante, perché senza il supporto dei vasi sanguigni non si riescono a formare le complesse strutture fondamentali del rene, i nefroni, dove si svolgono i processi di filtrazione, riassorbimento e secrezione che caratterizzano questo organo”.
Il prossimo passo sono i cosiddetti tessuti chimerici: “Utilizzando le cellule embrionali – spiega ancora il ricercatore – possiamo ‘insegnare’ a quelle del midollo osseo prelevate da un paziente a trasformarsi in nefroni”. Una prospettiva che permetterebbe anche di aggirare il problema del rigetto, tra l’altro spegnendo i geni che lo provocano. “La tecnica apre la strada a tecnologie che consentiranno di produrre nefroni umani da cellule del paziente stesso – afferma Giuseppe Remuzzi, direttore delle ricerche dell’Istituto Mario Negri – e di mimare mediante manipolazione genetica malattie renali umane per studiarne i complessi meccanismi e valutare in via preliminare l’attività dei farmaci, riducendo in questo modo la sperimentazione sugli animali”.
Il Sole 24 Ore