Ginseng e uva rossa ottimi integratori delle terapie anti-cancro
Dall’uva rossa al ginseng, sono molte le sostanze di origine naturale che possono essere d’aiuto ai malati di cancro. E’ la cosiddetta ‘terapia integrata’, cioè “l’uso di estratti naturali o metodologie per salvaguardare il benessere del paziente che si sta sottoponendo a trattamenti classici quali la chemioterapia o la radioterapia”, dice Massimo Bonucci, direttore Patologia clinica e anatomia patologica della Casa di cura San Feliciano di Roma, presidente dell’Associazione ricerca terapie oncologiche integrate (Artoi), riunita oggi e domani nella Capitale per il suo IV Congresso nazionale.
Ad esempio, spiega l’esperto, è possibile “utilizzare l’ipertermia in concomitanza con la chemioterapia per aumentare l’efficacia, oppure impiegare sostanze naturali, molecole quali la polidatina, la curcumina, il sulforafano, il ginseng americano o la micoterapia per ridurre gli effetti collaterali da trattamenti antiblastici e avere fra l’altro anche qualche ‘chance’ in più per quanto riguarda i risultati positivi. Insomma, il beneficio investe direttamente la qualità della vita del paziente. Può essere talvolta immediato con una riduzione della nausea o vomito o della ‘fatigue’ post-chemioterapia, oppure avere un vantaggio a medio e lungo termine con il miglioramento della sopravvivenza”.
Ma questi trattamenti sono disponibili e mutuabili nel nostro Paese? “In Italia – sottolinea Bonucci – esiste la possibilità di ricovero in strutture o le visite ambulatoriali per i trattamenti integrati, purtroppo nella maggior parte dei casi non sono mutuabili, fatta eccezione per la Regione Toscana dove a Pitigliano (Gr) c’è un ospedale con U.O. di Medicina integrata o numerosi ambulatori pubblici dove con il pagamento di un ticket si possono avere prestazioni di questo tipo. I farmaci che vengono usati non sono costosi, ma l’uso quotidiano e per lungo tempo fa sì che il costo sia una concreta limitazione. Su quest’aspetto sarebbe auspicabile aprire un dibattito a livello politico-istituzionale per tutelare la salute dei pazienti, fornendo nuove chance di benessere e maggiore efficacia dei trattamenti antitumorali, in una fase drammatica come quella della malattia oncologica”.
A capo di un’equipe del Centro nazionale ricerche, Gianpietro Ravagnan, ordinario di Microbiologia all’Università Cà Foscari di Venezia, ha evidenziato le potenzialità antiossidative delle molecole resveratrolo e polidatina, estratte dall’uva e dal vino rosso: “La letteratura scientifica sull’argomento – spiega – si è ampliata negli anni e oggi è sufficientemente ricca per dimostrare il funzionamento di queste molecole. Occorre però una precisazione: il resveratrolo è originato dalla fermentazione dell’uva da vino rossa, mentre la polidatina è una sorta di progenitrice, poiché è già disponibile nella buccia dell’uva non fermentata. Anzi, è presente in natura nella frutta e verdura a pigmentazione rossa (uva, frutti di bosco, mele)”.
“Si tratta di molecole ‘spazzine’, in grado cioè di eliminare i radicali liberi e quindi di mitigare gli effetti infiammatori delle terapie chemio e radioterapiche. La polidatina, in particolare, è lipo e idrosolubile, ciò significa che rispetto al resveratrolo ha maggiore capacità di assorbimento cellulare e maggiore durata nell’organismo, in pratica è più efficace”. “Spieghiamo – precisa – che si tratta di integratori, e non di farmaci, perché la nostra legge classifica come integratori i prodotti di origine naturale. Ricordo che non si tratta di un antitumorale, non spacciamo verità che non esistono, ma di un potente antiradicalico, in grado di attenuare i processi infiammatori non solo per chi è in terapia oncologica, ma in generale per gli organismi debilitati da lunghe malattie. Quindi è un ‘mitigatore’, che nel tempo migliora il benessere dei pazienti”.
Al centro del dibattito anche le nanoparticelle, “che – dice Ravagnan – non sono farmaci o molecole, bensì veicolatori dei principi attivi contenuti nei medicinali. La peculiarità è che sono in grado di colpire i bersagli malati, senza danneggiare i tessuti sani. Un’azione target che in futuro potrà essere determinante per l’efficacia delle cure, in direzione di una massimizzazione degli effetti con una minor esposizione ai danni. Oggi è tutto in fase sperimentale, ma è una prospettiva senz’altro incoraggiante che darà risultati nel tempo”.
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