[Aduc]Proteina che blocca le staminali del cancro al cervello
Un biofarmaco intelligente contro il tumore al cervello, capace di agganciare le staminali del cancro e di neutralizzarle, svuotando il serbatoio che alimenta la malattia. E’ lo scenario disegnato da una ricerca pubblicata su ‘Cancer Cell’, condotta dal team diretto da Angelo Vescovi, tra i massimi esperti internazionali di cellule staminali. Lo studio, coordinato dalla scienziata Elena Binda e illustrato oggi a Milano, apre le porte allo sviluppo di una terapia mirata contro il glioblastoma multiforme (Gbm), la forma piu’ comune di tumore cerebrale. “Una malattia che oggi non lascia scampo – spiega Vescovi – e che quando colpisce uccide nel giro di un anno al massimo”.
In sintesi, gli autori hanno scoperto il meccanismo molecolare responsabile della crescita esplosiva di questo cancro. Hanno quindi identificato il composto che potrebbe contrastarlo e l’hanno testato con successo contro Gbm umano infiltrato nel cervello di topo. La proteina della speranza si chiama efrina A1 e potrebbe diventare un farmaco efficace e a tossicita’ minima, perche’ naturalmente prodotto dall’uomo a livello cerebrale. “Nel giro di 2 anni, 3 al massimo – stima Vescovi – contiamo di passare alla fase clinica sui pazienti”.
Il lavoro porta la firma della societa’ biotech milanese StemGen, nata a fine 2005 come start-up del Dipartimento di biotecnologia e bioscienze dell’universita’ Bicocca, ed e’ stato realizzato in collaborazione con l’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di Padre Pio di San Giovanni Rotondo (Foggia).
Nella squadra anche Francesco Dimeco dell’Istituto neurologico Besta di Milano, docente alla John Hopkins University di Baltimora, nonche’ il Dipartimento di neurologia del Policlinico Gemelli di Roma, la Weill Cornell Graduate School of Medical Sciences e il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, l’universita’ della Florida e il Sanford-Burnham Medical Research Institute di La Jolla, San Diego. “Grazie a questo studio – afferma Vescovi, professore associato alla Bicocca di Milano e direttore scientifico dell’Irccs Casa sollievo della sofferenza – e’ ora possibile identificare nuovi bersagli molecolari e genetici fino a oggi insospettati, da colpire nel tentativo di fermare questo tumore incurabile”. Il glioblastoma multiforme, o glioma di grado IV, rappresenta il 30% di tutte le neoplasie cerebrali. Colpisce soprattutto uomini dai 50 ai 60 anni, con “40 mila casi all’anno nel mondo occidentale e un migliaio in Italia”, calcola lo scienziato. “Parliamo di una malattia rara, ma drammaticamente frequente”.
Il punto di partenza del nuovo studio e’ una scoperta fatta sempre dal gruppo di Vescovi nel 2004, che dimostrava il ruolo delle staminali del cancro quale serbatoio della malattia. L’equipe aveva notato che, nonostante il glioblastoma multiforme fosse composto da miliardi di cellule, soltanto una piccolissima parte conservava la capacita’ di far crescere indefinitamente il tumore o di farlo risorgere dopo la terapia. Si tratta appunto delle staminali tumorali, cellule letali non solo perche’ ne basta una sola per rigenerare un intero Gbm, ma anche perche’ praticamente immortali: non perdono mai la capacita’ di replicarsi e sono super resistenti alla radio e alla chemioterapia.
Sono dunque queste cellule il vero bersaglio da colpire per uccidere il glioblastma.
La ricerca pubblicata su ‘Cancer Cell’ introduce proprio questo cambio di paradigma: non serve attaccare l’intero tumore con trattamenti ad alto rischio di tossicita’, ma bisogna concentrarsi sulle staminali che costituiscono la riserva del cancro. I ricercatori si sono quindi messi a caccia di un bersaglio da colpire sulle staminali di Gbm umano, che sono state studiate grazie a una tecnica esclusiva di StemGen e del gruppo di Vescovi, che permette di isolare, moltiplicare e manipolare ad libitum queste cellule estraendole dal tumore dei pazienti. Vescovi e colleghi hanno cosi’ osservato che le staminali tumorali cerebrali umane portano in superficie livelli abnormi di una proteina presente anche nelle staminali normali del cervello: il recettore A2 delle efrine, o EphA2. Questa sovra-espressione di EphA2 causa un aumento incontrollato dell’autoreplicazione delle staminali del cancro, che si moltiplicano enormemente provocando a crescita inarrestabile ed esplosiva tipica del glioblastoma.
Una volta capito che l’EphA2 era il bersaglio giusto, gli scienziati hanno provato a colpirlo con la efrina A1. La proteina e’ stata somministrata per via intracerebrale, con una tecnica che mima quella impiegata nell’uomo, a topi nei quali veniva riprodotto esattamente il tumore dell’uomo: “In gergo tecnico si chiama ‘fenocopia’ – dice Vescovi – perche’ quello che si ottiene nell’animale e’ praticamente lo stesso tumore del paziente dal quale viene prelevato, identico in tutto e per tutto”. Nel topo, la efrina A1 e’ riuscita a ridurre l’espressione di EphA2 e a limitare significativamente la replicazione delle staminali tumorali, inibendo la crescita del glioblastoma umano. In conclusione, la efrina A1 e’ un potenziale e promettente farmaco biologico contro il glioblastoma multiforme.
Vescovi tiene a puntualizzare che “e’ necessario essere prudenti, perche’ solo la sperimentazione clinica sull’uomo potra’ davvero confermare se abbiamo individuato una terapia vera e propria. Vorrei anche enfatizzare il ruolo importante della collaborazione tra start-up biotecnologiche come StemGen ed enti nazionali ed internazionali di ricerca accademica: un approccio che si e’ rivelato fruttuoso e promette di velocizzare lo sviluppo di terapie sperimentali per patologie che restano incurabili e letali, come il glioblastoma umano, classificate come ‘malattie orfane'”.
La ricerca e’ finanziata da StemGen, oltre che da fondazioni no profit americane. La start-up milanese sosterra’ gli studi necessari a sviluppare protocolli clinici nell’uomo, e in vista dell’iter di sviluppo clinico “si sta gia’ cercando il sostegno di aziende piu’ grandi”, riferisce Vescovi.
Per StemGen, la efrina A1 e’ il secondo candidato biofarmaco contro il glioblastoma multiforme. Con questa ricerca, infatti, la societa’ ‘gemmata’ dalla Bicocca di Milano bissa il risultato ottenuto a fine 2006, quanto ‘Nature’ pubblico’ la scoperta del primo potenziale biofarmaco anti-Gbm, la proteina BMP4 che “entrera’ nella fase clinica alla fine del 2013. Per sviluppare un farmaco del genere ci vogliono in tutto 20-30 anni, 7 da quando si passa alla sperimentazione sull’uomo. Quindi “siamo a buon punto”, assicura Vescovi. “E nel caso della efrina A1 – conclude ottimista – i tempi saranno piu’ contenuti”, perche’ a differenza di 6 anni fa “disponiamo di tutti gli strumenti tecnici necessari, gia’ validati, per passare piu’ rapidamente sull’uomo”.