Dal paziente “Tan” alla nascita della neuroanatomia moderna
A 150 anni dalla morte, è stata svelata l’identità del paziente che permise a Paul Broca di individuare il centro cerebrale che presiede alla capacità di parlare, facendo fare alle neuroscienze un decisivo salto di qualità. Louis Victor Leborgne era un piccolo artigiano parigino che per vent’anni pronunciò solo due sillabe misteriose, per cui ora viene avanzata una possibile spiegazione.
“Tan tan”: furono le uniche parole che Monsieur Leborgne riuscì a pronunciare per vent’anni, dal momento del suo ricovero all’ospedale di Bicêtre fino alla morte, avvenuta il 17 aprile 1861. Non sappiamo se, eseguendone l’autopsia, nell’animo del neuroanatomista Paul Broca prevalse la compassione per il pover’uomo o una scintilla di soddisfazione per l’opportunità di risolvere un’annosa questione scientifica. Certo è che il “paziente Tan”, come l’avrebbe sempre chiamato Broca nelle sue relazioni scientifiche, rappresentò un punto di svolta per le neuroscienze: il suo caso fornì la dimostrazione che la nostra capacità di parlare dipende dall’integrità della corteccia cerebrale, e in particolare da quello che oggi è noto come centro di Broca.
Fra i primissimi a sostenere l’importanza della corteccia cerebrale per la capacità di articolare un discorso era stato, a cavallo fra il XVII e XVIII secolo Emmanuel Swedenborg, scienziato e mistico svedese, ma sulla base di una semplice intuizione; fu solo agli inizi del XIX secolo, dopo le ricerche di Franz Josef Gall, il fondatore della frenologia, che prese piede la convinzione che le facoltà mentali avessero la loro sede proprio nella corteccia. Tuttavia, ancora a metà del secolo i neuroanatomisti litigavano aspramente su quale fosse il centro che presiedeva alla formulazione della parola. Gli studi di Broca sul cervello del paziente Tan diedero la risposta.
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Ma chi era “Tan”? Se ne conosceva soli il cognome, ma ora una ricerca condotta da Cezary Domanski dell’Università “Maria Curie-Sklodowska” a Lublino – che firma un articolo pubblicato sulla rivista “Journal of History of Neuropsychology” – consente di dare una risposta più completa. Una risposta cercata non per soddisfare una curiosità morbosa, ma dettata dal desiderio di dare un’identità a chi ha, sia pur involontariamente, contribuito tanto al progresso della scienza. Come avvenne, per citare due altri famosi esempi, a Henrietta Lacks nella ricerca sui tumori, o, restando nel campo delle neuroscienze, a Phineas Gage. Ma anche, come sottolinea Domanski, per sfatare la diceria, alimentata proprio dall’anonimato, che si trattasse di “un analfabeta ignorante dalla classe sociale più infima”.
Louis Victor Leborgne aveva iniziato ad avere problemi durante la sua giovinezza, quando aveva sofferto della prima crisi di epilessia. Ciò non gli aveva tuttavia impedito di vivere in maniera autonoma nel terzo distretto di Parigi, dove lavorava producendo forme per scarpe per i calzolai. A trent’anni però perse improvvisamente la parola.
“Non è noto – scrive lo storico polacco – se il danno al lato sinistro del cervello di Leborgne avesse a che fare con traumi subiti durante la crisi di epilessia, ma non sembra, come riportato in alcune recenti pubblicazioni, essere stato causato dalla sifilide, cosa che non è stata mai annotata nei rapporti di Broca. La causa immediata del suo ricovero in ospedale era stato il suo problema di comunicazione.”
E prosegue: “Leborgne fu ricoverato nell’ospedale di Bicêtre due o tre mesi dopo aver perso la capacità di parlare. Forse in un primo momento il disturbo era stato percepito come una perdita temporanea, ma il difetto si rivelò incurabile. Dato che Leborgne era celibe, non poté essere affidato a parenti stretti, e trascorse così il resto della sua vita (21 anni in totale) in ospedale”.
Dopo la morte, Broca eseguì un attento esame anatomico del cervello di Leborgne, premurandosi anche di conservalo presso il Musée Dupuytren di Parigi. Recenti scansioni del reperto hanno appurato che il danno subito era in realtà più ampio e profondo di quello rilevato da Broca.
Quanto all’unica, singolare sillaba che Leborgne riusciva ancora a pronunciare, Domanski avanza un’ipotesi, forse azzardata ma sicuramente suggestiva, e la lega ai suoi ricordi d’infanzia. Louis Victor era nato nella suggestiva cittadina di Moret-sur-Loing, prediletta da Monet, accanto a uno dei diversi mulini ad acqua che la abbellivano. Quei mulini servivano per la produzione di tannino per la concia, erano, come si dice in francese, moulin a tàn.