I bambini col diabete dei grandi da oggi hanno le loro linee guida

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AAP

Visto il rapido e continuo incremento dei casi di diabete di tipo 2 tra bambini e adolescenti, l’American Academy of Pediatrics emana le prime linee guida in assoluto dedicate alla diagnosi e al trattamento di questa condizione tipica dei grandi, a misura di bambino

Negli ultimi trent’anni la prevalenza di obesità tra i bambini ha raggiunto proporzioni sconvolgenti, soprattutto negli Stati Uniti, dove anche la First Lady Michelle Obama è scesa in campo per sensibilizzare opinione pubblica e genitori all’importanza di vigilare sulle corrette abitudini alimentari e di stile di vita dei propri figli, dando lei per prima come Prima Mamma d’America il buon esempio. E purtroppo lo tsunami obesità sta travolgendo anche l’Europa e l’Italia in particolare, anche e soprattutto sul fronte delle nuove generazioni.

L’Italia è la maglia nera d’Europa per l’obesità nei bambini.

L’obesità, vero flagello per la salute in quanto ‘madre’ o elemento peggiorativo di tante malattie cronica è considerata anche il principale fattore di rischio per la comparsa dei diabete dei grandi, il cosiddetto diabete di tipo 2, una malattia causata da una ridotta sensibilità dei tessuti all’insulina. Il diabete di tipo 1, quello caratteristico dei bambini e degli adolescenti, almeno fino alle soglie del terzo millennio, è invece una malattia completamente diversa, causata dalla distruzione del pancreas, l’organo che produce insulina, da parte del sistema immunitario. Da qualche anno, negli Stati Uniti, come in Europa, si sta osservando un numero sempre più importante di casi di diabete di tipo 2 nei bambini e negli adolescenti. E’ una malattia per molti aspetti inedita e che merita quindi un’attenzione particolare.
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Per questo gli esperti americani sono scesi in campo, per dettare le istruzioni per l’uso di questa malattia dei grandi che sta facendo sentire sempre più la sua presenza tra bambini e adolescenti e lo hanno fatto con delle linee guida che saranno pubblicate sul numero di Febbraio della rivista ‘Pediatrics’.

Sono le prime linee guida in assoluto su questo argomento e sono state redatte a più mani dall’American Academy of Pediatrics in collaborazione con l’American Diabetes Association, la Pediatric Endocrine Society, l’American Academy of Family Phisicians e l’Academy of Nutrition and Dietetics.

 

Due le terapie di prima linea consigliate:

–       insulina nei casi in cui non è chiara la diagnosi tra diabete di tipo 1 e tipo 2; quando il piccolo paziente ha dei valori di glicemia altissimi o quando il paziente si presenta in chetoacidosi, una delle più gravi complicanze dello scompenso diabetico.

–       metformina: è il farmaco di prima scelta in tutte le altre condizioni, e viene prescritta insieme ad un programma di cambiamento radicale dello stile di vita, comprendente in primo luogo indicazioni dietetiche, oltre ad un programma di attività fisica.

Molta attenzione viene dedicata in queste linee guida proprio agli aspetti di uno stile di vita salutare, nel tentativo di correggere quello che le errate abitudini alimentari e la sedentarietà hanno squilibrato.

 

In Italia, secondo i dati di OKkio alla Salute del Ministero della Salute (rilevazione condotte su 42mila bambini di terza elementare), il 23% dei bambini è in sovrappeso e l’11% obeso. Tra i nostri bambini sono molto diffuse le errate abitudini alimentari: il 9% non fa colazione e uno su tre la fa in maniera inadeguata), 1 bambino su 4 non mangia ogni giorno frutta e verdura, circa il 50% consuma soft drink zuccherati nell’arco della giornata,1 bambino su 2 ha la televisione in camera da letto e un bambino su 5 pratica sport per non più di un’ora a settimana (mentre dovrebbe fare sport per almeno un’ora al giorno).

 

“Il diabete è una condizione che può interessare tutte le età della vita, dall’infanzia alla vecchiaia – afferma Stefano Del Prato, Presidente SID – Fino a qualche anno fa il diabete che insorgeva in età infanto-giovanile veniva considerato diverso dalla forma che insorgeva in età adulta. Il primo, noto come diabete tipo 1, è dovuto alla distruzione delle cellule che producono insulina, l’ormone che controlla i livelli dello zucchero nel nostro sangue (glicemia). La carenza di questo ormone impedisce all’organismo di generare l’energia di cui ha bisogno a partire dallo zucchero e lo costringe a ricercarla utilizzando i grassi depositati nei nostri tessuti. Quando questo processo diventa particolarmente grave, questi grassi formano corpi chetonici (tra i quali l’acetone) che se prodotti in quantità eccessive intossicano l’organismo e creano condizioni di emergenza (chetoacidosi). Nell’adulto, invece, il diabete (diabete tipo 2) raramente si accompagna a formazione di corpi chetonici perché la produzione dell’insulina non è quasi mai completamente assente, anche se questa insulina fatica ad agire normalmente (insulino-resistenza). Il diabete tipo 1 è sempre stato considerato un diabete che insorge in età infantile, in soggetti con normale peso corporeo e di solito si manifesta improvvisamente a volte con il quadro drammatico della chetoacidosi. Al contrario, il diabete tipo 2 era considerato una condizione che si sviluppava lentamente in soggetti adulti generalmente in sovrappeso con, in particolare, un eccesso di girovita e che poteva procedere, anche per lungo tempo, senza particolari sintomi al punto che frequentemente veniva riscontrato in occasione di abituali check-up. Questa distinzione piuttosto chiara sta però via via scomparendo soprattutto perché il diabete tipo 2 diventa sempre più comune nelle età giovanili e adirittura in età pediatrica.

Il dato è preoccupante perché se il diabete tipo 1 era relativamente poco frequente (80-100 nuovi casi per milione di abitanti all’anno) il diabete tipo 2 è molto più frequente ed interessa non meno del 5% della popolazione italiana, una percentuale destinata a crescere con il passare del tempo. Il motivo di questa maggiore frequenza del diabete tipo 2 è largamente dovuta allo stile di vita (poca attività fisica e dieta ipercalorica) con il conseguente aumento dell’obesità, il principale fattore scatenante per il diabete tipo 2. Proprio le generazioni più giovani stanno pagando lo scotto maggiore di questi cambiamenti di vita: attività sedentarie, televisione, computer, giochi elettronici tutto contribuisce a ridurre l’attività fisica nei nostri ragazzi. A questo si unisce un’insana abitudine a un uso eccessivo di bevande zuccherate, di alimenti preconfezionati, di colazioni saltate e il ricorso a merendine e spuntini vari il tutto sostenuto da un massiccio battage pubblicitario. Il risultato è che l’Italia è la maglia nera dell’obesità in Europa: 23 bambini di età compresa tra gli 8 e 9 anni su 100 sono in sovrappeso e 11 su 100 francamente obesi. Pochi anni di questa situazione e il diabete tipo 2 comincia a comparire a 10, 11, 12 anni….. Oggi si può calcolare che su ogni 10 bambini ai quali viene diagnosticato il diabete, 2 hanno un diabete tipo 2, condizione pressochè sconosciuta in questa età fino a qualche anno fa. Questo fenomeno è destinato ad aumentare come purtroppo ci insegna l’esperienza americana. In quel Paese il diabete tipo 2 è un problema talmente importante da avere reso necessario il tentativo di codificare il trattamento di questi bambini redigendo una apposita linea guida. Ora, questo può essere visto come un doveroso atto da parte della classe medica e dei medici specialisti, in particolare. In realtà è un’amara sconfitta. Vuol dire che per un’incapacità di trasmettere concetti di salute adeguati e di arginare il fenomeno obesità siamo costretti a pensare a quale farmaco cominciare a somministrare a un bambino, che dovrà continuare ad assumerne sempre di più per gli anni a seguire nel tentativo di evitare le conseguenze del diabete e cioè le complicanze a carico di occhi, nervi, rene, cuore e vasi. Ritengo che tutto questo debba fare riflettere con grande attenzione perché questo non può essere l’eredità che lasciamo ai nostri figli. La battaglia contro il diabete non può essere condotta solo con la promulgazione di sacrosante linee guida ma anche e soprattutto con una forte azione educativa su tutta la popolazione, sui ragazzi e i loro genitori e sui genitori a venire mostrando quelli che sono i rischi di una condizione che s’instaura nell’infanzia, si trascina nell’adolescenza e prosegue nell’età adulta. Tra l’altro le armi farmacologiche a nostra disposizione rimangono, nel bambino, limitate. Abbiamo quindi bisogno di capire ancora meglio quali sono i meccanismi che favoriscono la comparsa del diabete, tipo 1 e tipo 2 e quali siano i migliori punti di attacco che garantiscano efficacia senza esporre il bambino a rischi dovuti al farmaco. Questi obiettivi possono essere raggiunti solo con una forte attività di ricerca medica che deve essere adeguatamente sostenuta con un impegno comune. Il nostro Paese continua a produrre ricercatori di eccellenza. Il loro lavoro, la consapevolezza di tutti dovrebbero essere la via migliore per vincere una battaglia che invece in questo momento sta solo preoccupando”.

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