Infiammazione organica nei primi mesi di gravidanza potrebbe determinare il 80% dei casi di autismo nel nascituro

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Un’infiammazione organica durante i primi mesi di gravidanza può essere correlata a un aumento fino all’80% del rischio di autismo nel bambino. pcr
Se la mamma soffre di un’infiammazione sistemica dell’organismo durante la gravidanza, che si mostra con alti livelli di proteina C reattiva (CRP), può far aumentare il rischio che il bambino divenga affetto da una sindrome dello spettro autistico.

La proteina C reattiva è ormai un consolidato biomarcatore (o biomarker) della cosiddetta infiammazione sistemica che, in genere, si presenta quando vi è un’intensa attività del sistema immunitario a causa o a seguito di un’infezione virale o batterica. Pertanto elevati livelli di CRP stanno a indicare che l’organismo è oggetto di una risposta all’infiammazione.

Condotto dai ricercatori della Columbia University, lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry e si è avvalso della sovvenzione da parte dell’American Recovery and Reinvestment Act e il National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), parte del US National Institutes of Health.
I risultati mostrano che un’iperattività immunitaria può alterare nel feto lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Questo, di fatto, fa aumentare il rischio di autismo.
Nelle donne che mostravano livelli di CRP nel percentile superiore a 20 il rischio aumentava del 43%; nelle donne con livelli di CRP nel percentile superiore a 10 il rischio aumentava dell’80%.

«Più alto è il livello di CRP nella madre, maggiore è il rischio di autismo nel bambino – spiega nella nota NIEHS il professor Alan Brown, principale autore dello studio – [Tuttavia], la stragrande maggioranza delle madri con un aumento dei livelli di CRP non darà alla luce bambini con autismo. Non sappiamo ancora abbastanza per suggerire i test di routine sulla CRP solo per questo motivo nelle madri in gravidanza, tuttavia, applicare misure precauzionali per prevenire le infezioni durante la gravidanza può essere di grande giovamento».

I ricercatori si sono basati su uno studio di coorte finlandese, conosciuto con il nome di Finnish Maternity Cohort (FMC) e che contiene un archivio di campioni prelevati da circa 810mila donne in gravidanza. La scelta della Finlandia è stata anche dettata dal fatto che questo Paese conserva nei registri nazionali anche le diagnosi di quasi tutti i casi di autismo infantile.
Da questo enorme bacino di campioni di siero, composto da 1,6 milioni di esemplari, i ricercatori hanno studiato 677 casi di autismo infantile correlati all’analisi della CRP nel siero materno, e altrettanti report quali gruppo di controllo.
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Nell’analisi non sono stati presi in considerazione dati come l’età materna e paterna, il sesso del nascituro, la nascita pretermine o il peso, precedenti gravidanze e lo status socio-economico delle donne. Tuttavia, si è trovata una correlazione tra i livelli di CRP nel sangue e il rischio di autismo.
Secondo una portavoce del NIEHS, dottoressa Cindy Lawler, l’autismo è difficile da comprendere e diagnosticare in fase precoce o in gravidanza, perché spesso non si manifesta evidente fino a che nel bambino non si siano sviluppati il linguaggio e altre funzioni cerebrali.
Altrettanto difficile è comprendere le cause dell’autismo, per cui studi di questo genere sono preziosi per stimolare ulteriori ricerche atte a trovare nuove possibili origini.
La possibilità dunque che dietro all’autismo vi possano anche essere infezioni, risposte infiammatorie e immunitarie, apre le porte a nuove prospettive di prevenzione.
La Stampa

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