Orientamento sessuale tra genetica ed epigenetica (di Giuseppe Novelli)
Secondo una recente ricerca, alla base dei comportamenti omosessuali ci sarebbero fattori epigenetici. Una spiegazione interessante ma non soddisfacente secondo uno dei più importanti genetisti italiani, che mette in luce alcuni punti deboli di questa ipotesi di Giuseppe Novelli
Il comportamento omosessuale non è molto importante per l’evoluzione, per la ragione che un ominide omosessuale in modo esclusivo non sarebbe mai divenuto antenato di qualcuno. Qualunque gene dell’omosessualità esclusiva sarebbe stato eliminato nell’arco di una generazione. Tuttavia molti biologi ritengono che geni in grado di influenzare il comportamento omosessuale non solo esistono ma riescono a “sopravvivere” considerato che almeno una/due persone su cento sono omosessuali in modo esclusivo.
Selezione antagonista
Diverse ipotesi sono state proposte per spiegare il sostentamento dei fattori genetici che influenzano l’omosessualità, nonostante l’assenza di fecondità negli omosessuali; tra queste:
– la selezione parentale, propria della sociobiologia, per la quale un soggetto/organismo rinuncia a una parte di proprie risorse (tempo e/o energie) o si assume un determinato rischio per fornire un beneficio a un altro soggetto/organismo con cui possiede un legame di parentela ravvicinato, allo scopo di favorire la trasmissione preferenziale della propria linea genetica;
– la selezione sessualmente antagonista, per cui le femmine di consanguinei omosessuali maschi, avrebbero un vantaggio riproduttivo in quanto eterozigoti per un ipotetico gene dell’omosessualità mappato sul cromosoma X. In pratica si avrebbe un aumento della fecondità femminile all’interno delle popolazioni umane, in una dinamica complessa, con conseguente mantenimento dell’omosessualità maschile a frequenze stabili e relativamente bassa, ed evidenziando gli effetti dell’ereditarietà attraverso la linea materna;
– gli effetti genetici materni, tra cui quelli ormonali, durante lo sviluppo.
Solo il modello di selezione sessualmente antagonista sembra al momento avere maggiori sostegni statistici di genetica formale, sebbene alcune critiche a questo modello sono state mosse dal metodo di calcolo impiegato, basato essenzialmente su interviste verbali e dichiarazioni, e mai su dati biologici o clinici.
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Al di fuori del gene
Recentemente, Sergey Gavrilets e colleghi hanno proposto una nuova idea che presuppone l’esistenza di fattori epigenetici, ovvero la modifica di gruppi chimici che si legano al DNA e che vengono trasmessi, quando una cellula si divide, alle cellule figlie (e non da una generazione a un’altra! con qualche eccezione limitata a poche generazioni). I cambiamenti epigenetici, letteralmente, “al di fuori del gene”, sono causati da specifiche classi di proteine e molecole di RNA, codificati da una larga parte del genoma con la specifica funzione di modificare e regolare l’espressione dei geni. I cambiamenti epigenetici non alterano la sequenza delle basi del DNA, anche se sono trasmessi da una generazione della cellula alla successiva.
Gavrilets e colleghi hanno ipotizzato che alcune “ipotetiche” sequenze di DNA di tipo sesso-specifiche sarebbero “targets” selettivi che regolano la sensibilità delle cellule alle variazioni dei livelli degli ormoni sessuali nel corso dello sviluppo fetale. Attraverso un modello matematico, hanno dimostrato che i geni che codificano per questi marcatori epigenetici possono diffondersi facilmente nella popolazione, perché i fattori epigenetici che producono, di per sé favoriscono la fitness del genitore (ossia la mascolinità dell’uomo e la femminilità della donna), mentre in un numero relativamente ridotto di casi riescono a “intrufolarsi” nelle cellule germinali e passare alla prole.
Il modello, senza dubbio interessante, si basa tuttavia su dati empirici che cercano di mettere insieme le ipotesi più accreditate per una spiegazione biologica dell’omosessualità, e cioè la selezione sessuale antagonista, e l’effetto materno/embrionale dovuto agli androgeni. Ma appare comunque a mio parere riduttivo, in quanto non tutte le parti del cervello sono influenzate durante lo sviluppo dagli androgeni e quindi dalla “atmosfera” ormonale all’interno dell’utero, e sappiamo molto bene che la variabilità dei livelli di androgeni è molto variabile e dipendente da troppi fattori genetici e non genetici, che sono difficilmente compatibili con una ipotesi epigenetica diretta.
Modificazioni non dimostrate
Diversi studi di manipolazione ormonali effettuati su modelli animali non hanno mai dimostrato modifiche nell’orientamento sessuale negli animali e analogamente negli umani; soggetti con mutazioni dei geni codificanti proteine del metabolismo degli androgeni non mostrano modificazioni dell’orientamento sessuale. Ciò implica che l’alterazione della via androgeni non ha un forte effetto sull’orientamento sessuale maschile, mentre al contrario qualche effetto lo avrebbe nelle femmine esposte ad elevati livelli di androgeni durante la vita fetale. Inoltre, come spiegare con lo stesso modello epigenetico la differente effeminatezza degli omosessuali maschi?
Non vi è nessun dubbio sull’influenza genetica sul comportamento sessuale degli organismi, uomo compreso. Questo è dimostrato dagli studi familiari che hanno evidenziato un aumento del tasso di omosessualità nei fratelli e tra gli zii materni di maschi omosessuali, e da numerosi studi effettuati su coppie di gemelli con valori di concordanza anche molto elevati (65 per cento nei gemelli monozigotici e 30 per cento nei gemelli dizigotici) sebbene il campione spesso è risultato piccolo per analisi statistiche significative. Ma nonostante gli sforzi e le tecnologie utilizzate, nessun gene dell’omosessualità è stato fino a oggi isolato.
Il ruolo del cromosoma X
Nel 1993, Hamer e colleghi hanno identificato una regione “critica” sul braccio lungo del cromosoma X (Xq28). Questo risultato non è stato sempre confermato e pertanto è da considerarsi ancora parziale. Il coinvolgimento del cromosoma X è tuttavia sostenuto anche da altre evidenze. E’ noto infatti che nelle madri di maschi omosessuali, l’inattivazione di uno dei due cromosomi X (paterno e materno) non è casuale come atteso (mediamente colpisce il 50 per cento delle volte quello paterno e 50 per cento quello materno nei diversi tessuti), ma selettivo, con uno dei due cromosomi X maggiormente inattivato rispetto all’altro.
Questo fenomeno è praticamente raro nelle madri di maschi non omosessuali. Non è noto il motivo di questa differente inattivazione del cromosoma X, ma è certamente da attribuire a meccanismi epigenetici di controllo dell’espressione di geni mappati sul cromosoma X. Altre regioni cromosomiche controllate da meccanismi epigenetici sono state identificate negli studi di associazione finalizzati all’identificazione del gene dell’omosessualità; queste riguardano i cromosomi 7, 8 e 10, ricchi di geni controllati da fattori epigenetici, ma, come per il cromosoma X, nessun gene specifico è stato ancora isolato.
Come si può vedere, i modelli proposti sono ancora lontani dall’essere conclusivi e lasciano ancora aperto il paradosso darwiniano associato all’omosessualità maschile che certamente l’epigenetica non aiuta ancora a risolvere. Sono oltre un centinaio le caratteristiche biochimiche, fisiologiche e comportamentali interessate da modifiche epigenetiche, e alcune di queste sono trasmesse per quattro generazioni, secondo Joseph H. Nadeau: troppo poche a mio parere per giustificare il comportamento omosessuale negli umani e nelle altre 500 specie di animali in cui è stato descritto.