Quando una cellula si nutre di se stessa
E’ un enzima ad attivare e disattivare i meccanismi di autofagia, il processo con cui una cellula denutrita sacrifica alcune sue parti per fornire energia alle funzioni indispensabili.
L’autofagia interviene anche come meccanismo di autodistruzione quando una cellula o i suoi organelli sono gravemente danneggiati, rischiando una deriva tumorale o un pesante accumulo di sostanze dannose, come avviene in alcune malattie neurodegenerative.
Un fondamentale meccanismo molecolare per la regolazione dell’autofagia cellulare – una risposta a condizioni di stress particolarmente elevate che le cellule mettono in atto degradando alcuni dei propri elementi al fine di garantire la propria sopravvivenza – è stato individuato da ricercatori dell’Università della California a San Diego, che firmano un articolo sulla rivista “Cell”.
L’autofagia cellulare partecipa in maniera essenziale al mantenimento dell’equilibrio tra la sintesi, la degradazione e il riciclaggio dei prodotti cellulari, ma si attiva in maniera particolarmente significativa in alcune circostanze critiche.
Per esempio, quando una cellula si trova in uno stato di grave carenza di sostanze nutritive, per cercare di sopravvivere comunque sacrifica alcuni suoi elementi per fornire energia alle funzioni essenziali. L’autofagia interviene anche quando la cellula è infetta, o quando alcuni organelli di importanza cruciale, come i ribosomi e i mitocondri, sono gravemente danneggiati e disfunzionali.
I difetti nei processi di autofagia sono stati associati a diverse patologie, dal cancro e alle malattie neurodegenerative, ma anche ai processi di invecchiamento per accumulo di danni cellulari.
Finora era noto che nel processo intervenivano diversi enzimi appartenenti al cosiddetto complesso delle Vps34 chinasi, che peraltro partecipano a diverse altre attività cellulari. Ora i ricercatori diretti da Kun-Liang Guan hanno scoperto che a controllare l’attivazione e la disattivazione delle diverse Vps34 chinasi è un enzima, la protein-chinasi attivata dall’adenosina monofosfato, o AMPK, che servirebbe quindi come una sorta di supervisore di quel complesso enzimatico.
In particolare, i ricercatori hanno anche scoperto che la AMPK è in grado di attivare un elemento del complesso Vps34 che a sua volta induce l’espressione del gene Beclin1, un gene che si ritiene avere il ruolo di oncosoppressore, poiché la perdita della sua proteina nei tessuti epiteliani ne determina una spontanea degenerazione tumorale.