Il batterio che produce pepite d’oro
Grazie alla capacità di sintetizzare e secernere una sostanza che intercetta gli ioni oro dispersi nell’ambiente, in genere molto tossici per i microrganismi, il batterio Delftia acidovorans è in grado di sopravvivere e prosperare in un ambiente proibitivo “fabbricando” come sottoprodotto granuli di oro massiccio. La scoperta può avere applicazioni industriali.
Il meccanismo metabolico che permette a un batterio di prosperare in un ambiente ricco di ioni oro – che normalmente inibiscono la crescita di microrganismi – e di accumularli in piccole pepite di oro massiccio biologicamente inerte è stato individuato da un gruppo di ricercatori della McMaster University ad Hamilton. In Canada, e della Western University a London, sempre in Canada, che lo descrivono in un articolo pubblicato su “Nature Chemical Biology”.
Mentre la presenza nell’ambiente di alcuni metalli, per esempio il ferro, è una condizione favorevole o addirittura indispensabile alla crescita dei batteri, altri metalli, primi fra tutti gli ioni argento e oro, sono estremamente tossici per i microrganismi e rappresentano un fortissimo ostacolo alla loro proliferazione. Tuttavia, sulle pepite d’oro si trovano spesso biofilm batterici, che dalle analisi condotte risultano formati al 90 per cento da colonie di due batteri: Cupriavidus metallidurans e Delftia acidovorans.
Come hanno scoperto Chad W. Johnston e colleghi, i meccanismi attraverso cui i due tipi di microrganismi riescono a sopravvivere in un ambiente microbiologicamente proibitivo, sono radicalmente differenti. I batteri di C. metallidurans inattivano gli ioni oro dopo che sono penetrati nella cellula, facendoli precipitare in nanoparticelle che permangono inerti all’interno del citoplasma. La strategia di D. acidovorans prevede invece l’inattivazione degli ioni oro avviene prima dell’ingresso nella cellula batterica, non appena questi vengono a contatto con una sostanza secreta dal batterio, chiamata delftibactina, che causa la precipitazione del metallo all’esterno della cellula, producendo granuli di oro massiccio, biologicamente inerte.
che vengono prodotti da numerosi organismi, in particolare da batteri e funghi. Dalle analisi condotte è risultato che la delftibactina ha una struttura molto simile ai classici siderofori, le biomolecole che legano il ferro, che il microrganismo deve aver modificato per poter colonizzare una nicchia ecologica libera, quella dei torrenti e delle acque relativamente ricche di oro.
Secondo i ricercatori, D. acidovorans potrebbe aver avuto un ruolo importante nella formazionedei grani, pagliuzze e pepite d’oro che si ritrovano nei depositi alluvionali, a partire dal cloruro aurico e dell’acido cloroaurico disperso nell’ambiente. Ora che è stata individuata, la delftibactina potrebbe essere utilizzata a scopi industriali.