Sindrome di Down: madre ricercatrice scopre molecola che fa riattivare i mitocondri
La notissima epigallocatechina-3-gallato, un polifenolo contenuto anche nel tè verde, riesce a far ripartire alcune funzioni delle centraline energetiche che sono meno efficienti nelle persone affette dalla sindrome. Il test su cellule isolate e messe in coltura apre alla speranza di studi sull’uomo.
ROMA – Tutto nasce probabilmente dall’ostinazione di una mamma, che però è una biochimica e dunque ragiona come una scienziata. E da suo figlio Enrico, nato nel 2004 con sindrome di Down. Da quel momento Rosa Anna Vacca – ricercatrice dell’Istituto di biomembrane e bioenergetica del Cnr di Bari – decide di cominciare a studiare, anzi di tuffarsi anima e cuore come dice lei, nei meccanismi molecolari della malattia, di cui si sa molto poco.
E insieme alla collega Daniela Valenti, in collaborazione con altri ricercatori del suo istituto e dell’Università di Pisa, Napoli e Bari, scopre che una molecola notissima, della famiglia dei polifenoli e contenuta nel tè verde, l’epigallocatechina-3-gallato (Egcg), riesce a riattivare alcune funzioni dei mitocondri, le centrali energetiche del nostro organismo, che nelle persone Down sono meno efficienti. Lo studio, effettuato in vitro su cellule di soggetti Down, bambini e adulti, è stato pubblicato da poco su “Biochimica et Biophysica Acta-Molecular Basis of Disease” e apre la strada a possibili nuovi interventi terapeutici.
Tutto nasce dall’intuizione che alcune manifestazioni cliniche, quali ipotonia, cardiomiopatie e stress ossidativo riscontrabili in molti soggetti Down, siano legate al cattivo funzionamento dei mitocondri, che producono l’energia necessaria alla vita delle cellule. Nelle persone Down questa centrale energetica ha una funzionalità ridotta e l’organismo si ammala precocemente di patologie legate all’invecchiamento, come neurodegenerazione e morbo di Alzheimer. La mamma di Enrico – però – studia i mitocondri da oltre dieci anni e decide che è quella la strada da seguire: comincia così ad analizzare con la sua collega i meccanismi molecolari attraverso i quali una alterazione genetica, come la trisomia del cromosoma 21, produce il quadro clinico della malattia.
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Meccanismi ancora poco chiari. “Lavoro al progetto da quasi sei anni – racconta Rosa Anna Vacca – , ho cominciato subito dopo la nascita di mio figlio perché non riuscivo ad accettare l’idea che non si potesse far nulla per garantirgli una migliore qualità della vita. Il primo passo è stato analizzare il legame tra trisomia 21 e quadro clinico delle persone Down. La mia ipotesi fu quella di un’alterazione dei mitocondri. Mi era chiaro che soltanto attraverso lo studio dei meccanismi molecolari alla base della patogenesi della malattia si poteva progettare una strategia terapeutica”.
Due importanti studi, pubblicati su Biochemical Journal, nel 2010 e poi nel 2011. Piccoli passi verso la scoperta di oggi. “Nei mitocondri delle persone Down – spiega Vacca – alcune vie di segnalazione cellulare sono alterate e, attraverso un meccanismo a cascata, è compromessa la funzionalità dei mitocondri stessi. Abbiamo notato che, somministrando l’epigallocatechina-3-gallato a cellule isolate da pazienti e messe in coltura, già dopo 6 ore – e per circa altre 72 – si riattiva la capacità dei mitocondri di produrre energia. E non solo: si riducono anche i livelli di radicali liberi, e la cellula migliora dunque anche dal punto di vista ossidativo. Inoltre, questa molecola, oltre ad agire sui mitocondri, inibisce una proteina che nel cromosoma 21 è espressa in modo eccessivo ed è causa di ridotta capacità neuronale. Somministrando questa molecola – isolata e purificata e non ancora ampiamente commercializzata – si può ottenere un miglioramento delle capacità cognitive anche perché essendo molto piccola, riesce ad attraversare la barriera ematoencefalica”.
Adesso la speranza è che si possa passare agli studi sull’uomo. “Potrebbe essere vicino il momento di uno studio pilota – precisa la ricercatrice – anche perché la molecola è nota, è sicura e conosciamo le sue proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche. C’è l’interesse a una sperimentazione clinica che coinvolga più centri italiani e che possa fornire dati di tollerabilità ed efficacia. Io ci credo molto, e non dispero che si possa arrivare ad analizzare altre malattie neurologiche dello sviluppo in cui ci sono alterazioni dei mitocondri”. Intanto, non ha ceduto alla tentazione di usare la molecola su suo figlio, né ha voluto analizzare le sue cellule. Perché il mix di mamma e scienziata è imbattibile, ma, tutto sommato, è meglio tener separate le due cose.
Facciamo tutto quello che e nelle nostre possibilità per aiutare i ricercatori