Viene meno il valore scientifico dei topi come esemplari per emulare malattie umane
Non funzionano per patologie come sepsi, traumi e ustioni «Cambierà la ricerca a livello internazionale»
Per decenni, i topi sono stati la specie più utilizzata nello studio delle malattie umane. Ma adesso i ricercatori hanno ottenuto la prova che il modello murino sia stato totalmente fuorviante per almeno 3 diversi tipi di patologie mortali (sepsi, traumi e ustioni). Di conseguenza, essi affermano, che anni di lavoro e miliardi di dollari sono stati sprecati seguendo false piste.
Ciò non significa che il topo sia un modello inutile per tutte le malattie umane. Tuttavia, essi sollevano interrogativi su patologie come quelle che riguardano il sistema immunitario, inclusi cancro e disturbi cardiaci. «Il nostro articolo apre la possibilità ad una situazione parallela di essere presente», dice Shaw Warren, un ricercatore sulla sepsi all’ospedale generale del Massachusetts e uno degli autori principali del nuovo studio.
L’articolo, pubblicato in «Proceedings of the National Academy of Sciences», aiuta a spiegare perché sono falliti tutti i circa 150 farmaci, testati con enorme dispendio su pazienti affetti da sepsi. Tutti i test farmacologici si basavano sullo studio dei topi. E adesso viene dimostrato che i topi possono avere qualcosa che assomiglia alla sepsi negli uomini, ma in realtà è una condizione molto diversa da quella umana. Esperti medici non legati a questo studio hanno detto che i risultati dovrebbero cambiare il corso della ricerca a livello mondiale per tale fatale malattia. La sepsi, una reazione potenzialmente mortale che avviene quando il corpo prova a lottare contro un’infezione, colpisce 750 000 pazienti all’anno negli Usa, uccide da un quarto alla metà di essi e costa negli Stati Uniti 17 miliardi di dollari all’anno. E’ la principale causa di morte nelle unità di terapia intensiva.
«Questo è un cambiamento rivoluzionario», dice Mitchell Fink, esperto della sepsi dell’Università della California di Los Angeles (Ucla), riguardo al nuovo studio. «E’ strabiliante», dice Richard Wenzel, ex direttore del dipartimento di medicina interna alla Virginia Commonwealth University e già redattore del New England Journal of Medicine: «Hanno assolutamente ragione».