Retina artificiale: progetto in attuazione grazie ad un polimero
Un polimero conduttore è in grado di ripristinare la sensibilità alla luce in retine di ratti ciechi. Lo ha dimostrato una ricerca dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, che apre la strada alla sperimentazione di protesi visive nei casi in cui i tessuti della retina siano solo parzialmente danneggiati da malattie come la retinite pigmentosa o la degenerazione maculare senile.
Un nuovo polimero realizzato da Fabio Benfenati e colleghi, del Dipartimento di neuroscienze e tecnologie cerebrali dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, è in grado di ripristinare la sensibilità alla luce nella retina di ratti ciechi. Il risultato, pubblicato su “Nature Photonics”, apre le porte alla realizzazione di retine artificiali affidabili ed efficaci, ed è frutto di numerosi progressi compiuti nel campo delle biotecnologie, in particolare nella possibilità di collegare componenti elettronici basati su composti organici con substrati biologici.
Nell’ultimo decennio si è sviluppato un filone di ricerca interessante, che ha come obiettivo l’innovazione delle interfacce tra elettrodi e tessuti neuronali. Numerosi scienziati in tutto il mondo hanno affrontato diversi problemi che riguardano la biocompatibilità di differenti materiali e la loro flessibilità meccanica, due fattori fondamentali per poter realizzare protesi definitive o che comunque debbano durare per un tempo molto lungo. Tuttavia, la possibilità di stimolare i tessuti biologici con un segnale non elettrico ma luminoso ha ricevuto poca attenzione. Fanno eccezione le tecniche optogenetiche, usate per sondare il funzionamento di circuiti neuronali controllandone l’espressione genica con segnali luminosi. Queste tecniche hanno compiuto enormi progressi negli ultimi tempi.
Nel campo della ricerca sulla retina artificiale, il problema è ricondotto allo studio di strati sottili di materiale in grado di generare un segnale elettrico in risposta a una radiazione luminosa controllata dallo sperimentatore. Questo segnale elettrico devo poi essere in grado di generare una depolarizzazione della membrana neuronale, processo che a sua volta innesca la trasmissione del segnale tra gli stessi neuroni. A questo scopo, risultano molto adatti i polimeri conduttori, già sperimentati come interfacce per cellule in molte applicazioni, tra cui strutture di sostegno cellulare, biosensori e microdispositivi per il rilascio controllato di farmaci.
In quest’ultima ricerca Benfanati e colleghi hanno considerato in particolare l’uso di un’interfaccia organica costituita da un singolo polimero denominato P3HT (poli-3-esiltiofene). In una prima fase dello studio, hanno caratterizzato le variazioni di equilibrio elettrico all’interfaccia tra P3HT e un elettrolita, ovvero una sostanza in grado di dissociarsi in ioni una volta in soluzione, verificando che il polimero avesse le caratteristiche adatte per un modello sperimentale ancora più vicino alla realtà biologica. Questo modello sperimentale è stato studiato in una seconda fase ed era composto da cellule di ippocampo di ratto, fatte crescere in coltura sulla superficie del polimero.
I risultati positivi in termini di risposta agli stimoli luminosi, insieme alle buone caratteristiche di biocompatibilità osservate in altri studi, hanno incoraggiato i ricercatori a condurre una terza fase sperimentale, in cui è stata registrata la capacità del polimero ripristinare la sensibiltà alla luce in retine espiantate da ratti albini ciechi, ai quali precedentemente era stata indotta una degenerazione nello strato dei fotorecettori.
Il risultato apre la strada potenzialmente alla progettazione di protesi visive, utili quando il danno tissutale è solo parziale, come nel caso di malattie come la retinite pigmentosa o la degenerazione maculare senile, che colpiscono l’epitelio pigmentato ma preservano gli strati più interni della retina.
Spero che si facciano ulteriori progressi al piu presto. Per il bene di tutti quelli che, come me, hanno uno stile di vita parecchio limitato da questa patologia.