Il telefono salva la vita. Ma anche…un videogioco!

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SISQTCongresso congiunto della Società Italiana per la Sicurezza e la Qualità nei Trapianti (SISQT) e dell’International Transplant Nurses Society (ITNS) – Firenze 8-12 aprile 2013

Sempre più diffuso l’uso delle tecnologie (telefonini e internet) per migliorare l’aderenza alle terapie anti-rigetto e ad uno stile di vita salutare. Un mezzo prezioso per veicolare i giusti messaggi ai ragazzi nel bel mezzo della ‘tempesta perfetta’ rappresentata dall’adolescenza. Ma anche a tutti coloro che hanno bisogno di feedback positivi e supporto giorno per giorno

Firenze, 11 aprile 2013. Il trapianto prolunga la vita e la rende migliore, è insomma quello che si dice ‘una storia di successo’. Tuttavia la sopravvivenza è strettamente correlata al lavoro che viene fatto dal team trapiantologico, subito all’indomani del trapianto. Il primo anno dopo il trapianto è cioè fondamentale per la sopravvivenza a lungo termine e per il successo stesso del trapianto.

E la parola chiave per il successo è ‘aderenza’: alle terapie immunosoppressive innanzitutto, che proteggono dal rigetto del trapianto e ad uno stile di vita adeguato. “Questi  pazienti – ricorda  Fabienne Dobbels, Psicologa presso il Centre for Health Services and Nursing Research dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e membro del gruppo di ricerca internazionale Leuven-Basel Adherence Research Group – dal momento del trapianto, sono obbligati a prendere una complessa terapia a base di farmaci anti-rigetto a vita e a seguire uno stile di vita salutare. Che è poi quello che tutti dovremmo fare: seguire una dieta sana, fare esercizio fisico, non fumare, assumere alcol con moderazione o addirittura evitarlo”. Non è facile però seguire alla lettera tutte queste prescrizioni e alcuni pazienti hanno dei momenti di scoraggiamento e di stanchezza, che li portano ad abbandonare farmaci e buon senso. L’identikit del paziente a rischio di non aderenza è complesso, multidimensionale e particolare al tempo stesso. Possono entrare in ballo fattori di tipo culturale, socio-economico o altri che riguardano la famiglia, il team trapiantologico, la città o il Paese nel quale vive il paziente.

E naturalmente l’adolescenza è un importante fattore di rischio di non aderenza. “Bisogna anche considerare – prosegue la dottoressa Dobbels – che i pazienti vedono il team trapiantologico per un’ora alla settimana o al mese, mentre il vero sforzo è quello che viene richiesto loro, nel seguire le prescrizioni 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana. Completamente in balia della loro buona volontà, senza la presenza di medici, infermieri o psicologi. In più, come tutti sanno, c’è carenza di staff e sovraffollamento negli ospedali; è dunque sempre troppo poco il tempo che si può dedicare a questi pazienti. Tutto viene affidato all’autogestione – prosegue la Dobbles – e questa può essere insegnata e implementata nella pratica quotidiana. In questo possono essere di grande aiuto le health technologies”. Per e-health, si intendono le ICT (tecnologie per l’informazione e la comunicazione) applicate alla salute. Si va dalla telemedicina, alla tele-care (cioè al monitoraggio di una persona anziana che vive da sola in casa), alla tele-health, definita come uno scambio interattivo di informazioni tra un paziente e un medico a distanza. “Quest’ultima – spiega la Dobbels – non solo viene usata per monitorare a distanza e scambiare informazioni ma anche per fornire feedback, sostenere psicologicamente i pazienti e supportare i loro comportamenti salutari. “Ci sono diverse opzioni strumentali: dagli SMS (tutti abbiamo ormai un telefono cellulare) a Internet. E’ possibile ad esempio mandare un SMS per ricordare al paziente (si fa soprattutto con i giovani trapiantati) che è ora di prendere le medicine; il paziente è tenuto a rispondere con un SMS in codice e se non risponde al messaggio, viene mandato un altro SMS; se non risponde neppure a questo, un membro del team trapiantologico o il medico stesso cercherà di contattarlo al telefono. Con gli SMS si possono ricordare ai pazienti i loro appuntamenti, o anche mandare messaggi ‘motivazionali’ tipo: ‘è meglio che non fumi’, ‘c’è il sole fuori, perché non esci a fare una passeggiata’, ecc. Ci sono anche  programmi su Internet che non servono tanto ad educare il paziente, quanto a sfruttare la componente di interattività, come forum, chat rooms, videogame per teenager, gruppi di discussione; altri programmi infine consentono di avere accesso al proprio medico per ricevere un consiglio personalizzato”. “Al MIT di Boston – ricorda Sabina de Geest, docente di Scienze Infermieristiche presso l’Università di Basilea (Svizzera) e presso l’Università Cattolica di Lovanio – hanno sviluppato una comunità virtuale, alla quale prendono parte, attraverso un avatar, i pazienti trapiantati in età pediatrica. Nelle diverse ‘stanze’ della community, i giovani pazienti possono farsi delle chiacchierate, scrivere delle loro esperienze, raccontare come vivono l’esperienza del trapianto. In questa fascia d’età inoltre viene dato sempre più spazio ai videogames, per sviluppare alcuni specifici tipi di competenze e di conoscenze, che possono essere relative al lavoro in team o alle soluzioni di situazioni conflittuali. In un videogame, prima di superare un livello per passare al successivo, devi raggiungere determinati obiettivi; nel caso dei piccoli pazienti trapiantati la ‘prova’ da superare può essere una domanda del tipo: ‘cosa devi fare se dimentichi di prendere le tue medicine?’ E solo azzeccando la risposta corretta, possono accedere al livello successivo”. “Nell’adolescenza e nelle patologie croniche – ricorda la dottoressa Dobbels – ci sono tre aspetti da prendere in considerazione: 1) l’adolescente vive in diversi contesti: come individuo, in famiglia, nella comunità, all’interno di un contesto sanitario; 2) l’uso delle tecnologie è un elemento che merita assolutamente di essere integrato nell’approccio di cura che si intende utilizzare; 3) è assolutamente necessario prendere in considerazione il peer group, cioè il gruppo dei suoi pari, i suoi amici e coetanei”. “L’adolescenza è una fase peculiare della vita – prosegue la de Geest – necessaria per diventare un individuo, attraverso un processo di individuazione e separazione. Ma se hai una malattia cronica e hai avuto un trapianto, ti ritrovi un carico di responsabilità e cose da fare sulle spalle, in un momento in cui i ragazzi hanno solo voglia di fare esperienze nuove e sfidare la vita, infischiandosene di rischi e pericoli. Naturalmente tutto questo passa anche attraverso una sfida a tutto ciò che rappresenti l’autorità, dai genitori, agli insegnanti, ai medici e alle infermiere. Se si vuole avere successo con questi pazienti, bisogna avere ben chiari tutti questi aspetti e raggiungerli col loro linguaggio, che passa attraverso la tecnologia (telefonini e internet) e il gruppo dei loro pari”. “I teenager – conclude la Dobbles -sono di certo la popolazione più ‘telefonabile’ sulla faccia della terra. Ma in realtà tutte le persone a rischio di scarsa aderenza alle terapie o agli stili di vita, come appunto i trapiantati, a qualunque età possono trarre enormi benefici da programmi che sfruttino la comunicazione attraverso il telefono”.

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