Sindrome del cromosoma X fragile: scoperta una nuova terapia
Ricercatori dell’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU) e il centro per le neuroscienze Achucarro hanno scoperto una nuova terapia per la sindrome del cromosoma X fragile, la più diffusa causa di autismo e ritardo mentale tra i bambini maschi. Questa nuova terapia propone la modulazione del sistema cerebrale endocannabinoide per alleviare i sintomi della malattia. Questa rivoluzionaria scoperta scientifica è stata recentemente pubblicata su Nature Medicine.
“Una cura è ovviamente fuori portata, a causa dell’origine genetica della malattia, ma il fatto che possiamo migliorare le condizioni di vita dei pazienti è una cosa molto positiva”, ha affermato la sig.ra Susana Mato, ricercatrice al dipartimento di neuroscienze alla UPV/EHU e al centro Achucarro.
La sindrome del cromosoma X fragile (FXS) è una malattia genetica, con un’incidenza stimata di 1 caso ogni 4 000 individui. La sindrome deriva da un deficit nell’espressione della proteina FMRP (proteina ritardo mentale X fragile), che gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dell’attività neuronale. I pazienti con FXS presentano ritardo mentale, deficit di attenzione, ansia, autolesionismo e comportamento autistico, ridotta sensibilità al dolore e un’elevata frequenza di crisi epilettiche. Tutte queste espressioni neuronali anomale sono regolate dal sistema endocannabinoide.
La ricerca, effettuata usando topi modificati geneticamente privi della proteina FMRP e che riproducevano parzialmente la sintomatologia della sindrome del cromosoma X fragile negli umani, ha mostrato che il blocco dei recettori CB1 dei cannabinoidi con il farmaco Rimonabant normalizza le alterazioni cognitive, la sensibilità al dolore e le crisi epilettiche. Questa scoperta suggerisce che la somministrazione di farmaci che bloccano l’attività del sistema cerebrale endocannabinoide potrebbe rappresentare una nuova strategia per trattare pazienti con la sindrome del cromosoma X fragile.
Il farmaco Rimonabant è stato presente sul mercato per un certo periodo “per il trattamento dell’obesità”, ha spiegato la sig.ra Mato. “Tuttavia, esso era usato in dosi molto più alte e in questi dosaggi elevati dava luogo ad alcuni problemi psichiatrici, e per questo motivo venne tolto dal mercato”. Ciononostante, il farmaco è stato usato molto nella ricerca preclinica sul sistema endocannabinoide, e il suo meccanismo di azione è stato accertato molto bene.
Il prossimo passo, segnala la sig.ra Mato, dovrebbe essere quello di caratterizzare meglio il meccanismo di azione di questo trattamento, e di testare vari dosaggi per vedere quale dovrebbe essere quello ottimale per normalizzare il deficit. Soltanto allora potrebbero iniziare gli studi clinici. “In effetti, noi riteniamo che questo sarebbe relativamente fattibile, poiché esso è già stato commercializzato e tutta quella fase preclinica riguardante la tossicità del farmaco per gli esseri umani è già stata svolta, e si tratta quindi di un farmaco relativamente sicuro”, ha ribadito.
Anche se la sig.ra Mato considera questa scoperta un grande progresso, ha sottolineato l’importanza degli studi clinici che potrebbero ancora portare a risultati deludenti. “Questo è un fenomeno molto comune quando si sviluppano terapie per le malattie psichiatriche”, ha detto.
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