Apnea notturna e Alzheimer: quali sono i legami
Un nuovo studio trova che i disturbi respiratori durante il sonno hanno una correlazione con la malattia di Alzheimer. La domanda tuttavia è se sia l’Alzheimer, nelle fasi precliniche, a far insorgere i disturbi respiratori notturni o viceversa
I disturbi respiratori del sonno (o SDB), con l’apnea ostruttiva (OSAS), sono stati correlati alla malattia di Alzheimer (AD) da un nuovo studio condotto dai ricercatori della New York University School of Medicine.
La questione tuttavia è se sia l’Alzheimer, nelle fasi precliniche, a far insorgere i disturbi respiratori notturni o viceversa. Scoprire questo potrebbe, inoltre, spiegare il perché dell’aumento in gran numero dei disturbi respiratori del sonno negli anziani.
«E’ davvero la questione dell’uovo e della gallina – ha commentato il dottor Ricardo Osorio S., professore assistente di ricerca presso la NYU School of Medicine nel comunicato dell’American Thoracic Society – Il nostro studio non ha determinato la direzione della causalità e, in effetti, non ha scoperto una significativa associazione tra le due fino a quando abbiamo approfondito i dati sui pazienti magri e obesi».
Lo studio, presentato all’American Thoracic Society International Conference che si tiene a Philadelphia dal 17 a 22 maggio 2013, è stato condotto su 68 pazienti, senza problemi cognitivi, che sono stati monitorati per due notti, a casa propria, al fine di scovare eventuali sintomi di SDB. Durante i test sono stati anche eseguiti degli esami diagnostici per individuare un qualche segno della presenza dell’AD.
Tra i vari esami, sono stati presi in considerazione dai ricercatori la presenza di P-Tau, T-Tau e Abeta42 in CSF, FDG-PET (per misurare il metabolismo del glucosio), Pittsburgh compound B (PiB) PET al fine di misurare i livelli di amiloide. Per mezzo di una risonanza magnetica strutturale si è misurato il volume dell’ippocampo.
Quando tuttavia i ricercatori hanno preso in considerazione la massa corporea, hanno scoperto che i pazienti con SDB magri – ossia quelli con un indice di massa corporea inferiore a 25 –presentavano diversi biomarcatori specifici e non specifici di rischio di AD.
Tra i pazienti obesi con BMI superiore a 25, l’ipometabolismo del glucosio è stato riscontrato anche nel lobo temporale mediale, ma non è stato significativo in altre regioni Alzheimer suscettibili.
Secondo il dottor Osorio, i messaggeri biochimici dell’AD sono presenti da 15 a 20 anni prima della manifestazione di uno qualsiasi dei sintomi attualmente riconosciuti, dopo che siano diventati evidenti.
Per esempio, un ridotto metabolismo del glucosio nelle regioni AD-vulnerabili, una diminuzione del volume ippocampale, i cambiamenti nella P-Tau, T-Tau e Abeta42 e un aumentato legame di PIB-PET, sono riconosciuti come marcatori di rischio per l’AD, e sono stati segnalati essere anormali in soggetti sani prima dell’insorgenza della malattia.
In particolare, nello studio è emerso come i soggetti più magri con disturbi respiratori del sonno avessero questi biomarcatori per il rischio di AD. In più, i pazienti magri con SDB mostravano di averte un più piccolo ippocampo rispetto ai pazienti magri del gruppo di controllo senza SDB.
Il prossimo passo dei ricercatori sarà quello di valutare la propria tesi con un nuovo più approfondito studio con cui cercare di trovare un nesso di causalità tra i disturbi respiratori del sonno (SDB) – comprese le apnee – e la malattia di Alzheimer (AD). Questo servirà a comprendere se e chi causi cosa.
«Se ci sono cambiamenti nei biomarcatori, possono indicare che gli SDB stanno causando l’AD. Se non cambiano, la probabile conclusione è che questi pazienti stanno andando a sviluppare l’AD, con o senza CPAP [Continuous Positive Airway Pressure*], e che l’AD può sia essere la causa delle apnee o queste possono semplicemente coesistere con i SDB come parte dell’invecchiare», conclude il dottor Osorio.
* CPAP: un trattamento per la sindrome delle apnee ostruttive del sonno.