Dialisi: per allungare i tempi tra le sedute, limitare sali, fosforo e proteine

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Meno fosforo, latte, latticini, sale e una dieta ipoproteica possono ritardare, anche di un anno, l’inizio della dialisi per chi soffre di malattie renali. Sei milioni di persone solo in Italia, di cui 50 mila già sottoposte alla terapia che sostituisce la funzione di filtro dei reni. Il messaggio arriva dagli esperti dell’Andid (Associazione nazionale dietisti), riuniti a Firenze per il loro 25esimo Congresso nazionale. Nonostante il 10% della popolazione adulta presenti le condizioni per sviluppare in futuro una malattia renale cronica, avvertono i dietisti, la maggior parte delle persone non sa quali siano le cause. Ad esempio, in molti casi i danni ai reni sono secondari a malattie come il diabete e l’ipertensione. Questi fattori sono spesso sottovalutati o ignorati anche dalla maggioranza dei dializzati (il 72%, secondo i dati della Fondazione italiana del rene).

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“Una dieta ipoproteica e senza fosforo – spiega in una nota Anna Laura Fantuzzi, segretario nazionale dell’Andid, coordinatrice e referente dell’Ambulatorio di malattie renali presso il Nuovo ospedale estense di Modena – svolge una funzione protettiva fondamentale contro la ‘morte renale’, prolungando la stabilizzazione della malattia e allontanando il momento della dialisi di oltre un anno, e quindi dell’eventuale trapianto. Un aiuto importante, oltre al controllo di diabete e pressione arteriosa, proviene quindi proprio da un corretto piano dietetico. Nel trattamento, nella cura e nella gestione delle eventuali complicanze dell’insufficienza renale cronica – continua Fantuzzi – non è, infatti, sufficiente predisporre una terapia dietetica a basso contenuto di proteine e sale, ma occorre anche prevedere e prevenire l’eccessivo accumulo di fosforo, che costituisce un fattore di rischio importante nella progressione delle malattie renali”.
“Quando il rene è danneggiato – precisa Giovanna Cecchetto, presidente nazionale Andid – non è più in grado di eliminare il fosforo. In questi casi è dunque necessario monitorarne minuziosamente il quantitativo introdotto con la dieta, specie attraverso latte e latticini.

L’iperfosfatemia nel paziente con insufficienza cronica – prosegue l’esperta – è molto pericolosa poiché non solo aumenta di molto il rischio cardiovascolare, ma porta anche allo sviluppo di iperparatiroidismo secondario, ad alterazioni del metabolismo osseo, e all’aumento di calcio e fosforo. Le concentrazione eccessive nel sangue di questi due elementi possono provocare la formazione di piccoli depositi di minerali in vari organi e tessuti, che generano calcificazioni a livello cardiovascolare. E’ dunque indispensabile prevenire questo evento con una dieta adeguata”. “Inoltre – conclude Fatuzzi – non va sottovalutato il fatto che una dieta ipoproteica gestita da un dietista con il supporto di un team motivato è in grado di ritardare l’accesso in dialisi di circa un anno, e questo va a vantaggio sia di una migliore qualità di vita del paziente, che di un notevole risparmio per il sistema sanitario, nel rispetto della farmaco-economia”.

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