HIV: i pazienti italiani sono i più longevi al mondo
Lo dice una ricerca presentata al Congresso Simit
L’aspettativa di vita in Italia per un paziente con Hiv, regolarmente in terapia, è la più alta rispetto al resto del mondo. A dirlo uno studio del CROI di Atlanta rilanciato durante il Congresso Nazionale ICAR (Italian Conference on AIDS and retrovirus) in corso a Torino e promosso dalla Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit).
La ricerca, infatti, ha messo a confronto, tra tutti i registri nazionali, le segnalazioni di infezioni, miglioramenti e decessi dei soggetti in terapia. “In Europa la differenza non è particolarmente rilevante: Francia, Spagna e Germania presentano dati più o meno simili – spiega Giovanni Di Perri, presidente del Congresso e consigliere Simit –. Sorprende, invece, lo scarto italiano, in positivo, con i dati degli Stati Uniti”.
Sono cambiati anche i costumi sociali. “L’Hiv si trasmette sempre di più con i rapporti sessuali, mentre negli anni Ottanta era soprattutto causata dallo scambio di siringhe infette: oggi l’80% delle nuove infezioni deriva da rapporto sessuale non protetto – afferma lo specialista -. L’età media dei pazienti è di 30-40anni, mentre fino al 2000 era tra i 20 e 30anni: un dato importante, perché sembrerebbe che i nostri pazienti stiano ‘invecchiando naturalmente’, con tutti gli acciacchi e le malattie legate all’età”.
Risultato, rispetto all’aspettativa di vita media che si allunga, un successo delle terapie antiretrovirali precoci, c’è anche una maggiore esposizione delle persone sieropositive rispetto a fattori di rischio tumorale e metabolico. Gli esperti riuniti a Torino parleranno anche di questo, di come ridurre lo stato di attivazione continua del sistema immunitario con terapie combinate, di minore tossicità e di più facile somministrazione per tenere sotto controllo la carica virale, anche in considerazione che più anni di vita coincidono con terapie più lunghe. “La ricerca industriale porta a nuove soluzioni farmaceutiche più tollerate e più comode da assumere – continua Di Perri – come ad esempio la disponibilità di una singola compressa contenente tre principi, e quindi l’intera terapia da assumere solo una volta al giorno. Dall’altra numerosi ricercatori clinici stanno perseguendo strategie di induzione-mantenimento, ovvero caratterizzate da un inizio di terapia regolare con tre farmaci e successivamente, una volta ottenuto un certo grado di beneficio iniziale, dalla prosecuzione con due o addirittura un solo farmaco in modo da alleggerire l’impegno terapeutico del paziente, l’eventuale tossicità a lungo termine della terapia e quindi anche riducendo i costi della stessa”.
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