Il gene Parkina per longevità e salute

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I moscerini della frutta in cui viene indotta una maggiore espressione del gene parkina vivono più a lungo del normale, mantenendosi in salute, attivi e fertili. Il risultato dimostra il ruolo importante di questo gene nel processi d’invecchiamento con possibili importanti ripercussioni per lo studio e la cura di patologie umane fortemente correlate all’età: Parkinson, Alzheimer, cancro, diabete, ictus e malattie cardiovascolari.gene_parkinson
Il gene parkina, coinvolto nell’insorgenza di alcune forme della malattia di Parkinson, riveste un ruolo cruciale anche nell’invecchiamento e nella determinazione della longevità nel moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). A riferirlo in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” sono David Walker e colleghi dell’Università della California a Los Angeles. Il risultato incrementa le conoscenze sui meccanismi fisiologici in cui è coinvolto il gene e in prospettiva potrebbe avere importanti implicazioni anche per la cura delle patologie correlate all’età anche nell’essere umano.

“L’invecchiamento è il principale fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione di molte malattie neurodegenerative”, spiega Walker commentando il risultato. “Riteniamo che i nostri risultati gettino una luce sui meccanismi molecolari che connettono questi processi”.

I ricercatori hanni dimostrato che, incrementando l’espressione del gene parkina, la vita media dei moscerini, che normalmente non supera i due mesi, risulta più lunga del 25 per cento. “I moscerini del gruppo di controllo, cioè quelli non trattati, erano tutti morti al giorno 50”, aggiunge Walker. “Nel gruppo con parkina sovraespressa circa la metà della popolazione è ancora viva trascorso tale periodo: manipolando solo uno dei 15.000 geni del moscerino le conseguenze per l’organismo sono profonde”.

Gli autori sottolineano che incrementando i livelli di parkina, gli insetti non solo vivevano più a lungo, ma rimanevano anche in salute, attivi e fertili.

L’effetto dell’espressione del gene parkina può essere compreso considerando il complesso processo di formazione delle proteine. Queste molecole sono lunghe catene di amminoacidi che, per essere funzionali, devono essere ripiegate più volte fino ad arrivare alla loro conformazione definitiva. Quando questo processo avviene in modo non corretto, il macchinario cellulare cerca di riparare la proteina; a volte tuttavia la riparazione non va a buon fine, e la proteina mutata dev’essere scartata per non produrre danni.

In questo quadro, le ricerche hanno dimostrato che il ruolo della parkina consiste nel “contrassegnare” le proteine che devono essere scartate. Col tempo, questa importante funzione d’individuazione e di scarto delle proteine danneggiate perde funzionalità, ed è per questo che il processo d’invecchiamento è associato all’accumulo di proteine danneggiate tossiche.

“Il gene marca le proteine danneggiate, in modo che le cellule possano scartarle prima che diventino tossiche, ma è coinvolto anche nella rimozione dalle cellule dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, quando sono danneggiate”, ha concluso Walker. “Il risultato della nostra ricerca sui moscerini porta a ipotizzare che il gene parkina possa essere un importante bersaglio terapeutico per le malattie neurodegenerative e forse anche per altre malattie legate all’invecchiamento, come Alzheimer, Parkinson, cancro, ictus, malattie cardiovascolari e diabete: invece di studiare queste malattie una per una, pensiamo che sia possibile intervenire sull’invecchiamento e ritardare così l’insorgenza delle malattie che sono correlate a questo processo”.

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