Test genetici: il lato negativo è che si possono scoprire cose che non volevamo sapere

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Le analisi mediche del DNA possono portare a scoperte “accidentali”, che non riguardano il motivo per cui sono state prescritte. Si accende negli Stati Uniti il dibattito intorno all’opportunità o meno di informare i pazienti a proposito di risultati che esulano dagli scopi originari dei test: una controversia con risvolti sia etici che economici.
Che cosa succede se mi sottopongo a un test genetico per sapere come affrontare una certa malattia e dal mio DNA emerge che sono a rischio per una patologia diversa, per la quale non intendevo fare alcuna analisi? Il mio medico è tenuto a informarmi dei risultati “collaterali”? Sì, secondo l’American College of Medical Genetics and Genomics (ACMG), un’organizzazione di professionisti di genetica medica nata nel 1991. Non la pensano così, invece, Megan Allyse e Marsha Michie, due bioeticiste del Center for Biomedical Ethics di Stanford, che spiegano su “Trends in Biotechnology”  perché la posizione dell’ACMG fa acqua sotto molti aspetti.dna2

Nel maggio 2012, l’organizzazione ha pubblicato un documento in cui si legge che “è cruciale che le norme su cosa sia riferibile e cosa no permettano di evitare di appesantire il sistema sanitario e i pazienti con quello che potrebbe rivelarsi un gran numero di falsi positivi”. Per superare questa difficoltà, l’ACMG ha reclutato una commissione, formata da studiosi di genetica e di medicina statunitensi, a cui è stato affidato il compito di stilare delle linee guida per i medici.
Le indicazioni del gruppo sono state presentate due mesi fa, ma il documento, avvertono oggi Allyse e Michie, descrive uno scenario allarmante. Se, da un lato, i medici sono diffidati dal condurre analisi inutili per il paziente, dall’altro lato la lista di quelle considerate utili è lunghissima. Stando a queste regole, chiunque richiedesse un’analisi del DNA per un certo motivo si troverebbe sottoposto a test per mille altre ragioni.

Non si tratta di norme vincolanti, ma è chiaro che le direttive avranno il loro peso. Il nuovo documento sancisce esplicitamente che per “scoperta accidentale” ora si intendono “i risultati di una deliberata ricerca di alterazioni patogene o potenzialmente tali in geni che non sono apparentemente in relazione con le indicazioni diagnostiche per cui il test è stato prescritto”. Dopo una “ricerca deliberata” si può davvero parlare di scoperte accidentali? Perché allora, ribattono provocatoriamente le due bioeticiste, non sottoporre a screening l’intera popolazione?

Un’altra raccomandazione della commissione designata dall’ACMG è quella di non sottostare alle preferenze espresse dal paziente. “Il personale clinico ha il dovere di prevenire eventuali danni avvertendo pazienti e familiari, e questo principio vince sugli scrupoli che riguardano la loro autonomia.” Questo suggerimento vale anche per i genitori dei bambini sottoposti a test, circostanza che ha particolarmente allarmato Allyse e Michie. L’indicazione sembra inoltre ignorare completamente gli studi che dimostrano come alcuni gruppi etnici non desiderino affatto avere informazioni genetiche sul proprio conto.
Il tema non pone solo problemi etici. Effettuare test genetici così approfonditi su pazienti apparentemente non a rischio ha un costo molto elevato. Gli stessi firmatari delle linee guida ammettono che non conoscono le conseguenze che potrebbero avere questi costi aggiuntivi sui rimborsi sanitario. D’altra parte, difficile che siano i laboratori a farsi carico delle spese, osservano Allyse e Michie, secondo le quali è necessario intavolare un dibattito più ampio, che affronti tutte le sfaccettature della questione.

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