Alzheimer: nello stomaco la probabile soluzione
Tossina batterica inverte i sintomi della malattia nei topi
Cervello e intestino, il legame è sempre più stretto. Anche quando le cose non vanno bene a uno dei due. La scoperta italiana è pubblicata su PLoS One: una tossina prodotta da Escherichia coli, un batterio che si trova nel tratto gastrointestinale, potrebbe nascondere una cura per l’Alzheimer. Lo studio, nato dalla collaborazione di ricercatori del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità con quelli del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie e del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna, ha dimostrato come una singola dose della tossina CNF1, prodotta da E.coli, possa far regredire sino alla scomparsa i sintomi neuroinfiammatori dell’Alzheimer in topi usati come modello di studio per questa malattia.
I ricercatori sono riusciti ad invertire i segni clinici della malattia neurodegenerativa, che è provocata dall’accumulo di placche di beta-amiloide, proteina tossica che soffoca i neuroni e interferisce con la trasmissione nervosa, accelerando il declino cognitivo. La somministrazione di CNF1 ha avuto, invece, l’effetto di migliorare il deficit di memoria spaziale e quello legato all’elaborazione delle emozioni, due dei sintomi che accomunano le forme di demenza, tra cui l’Alzheimer. La “chiave” di questo meccanismo potrebbe essere proprio nel secondo “cervello” del corpo umano, una delle definizioni comuni dell’intestino. La flora batterica intestinale è una super-colonia di microrganismi con un patrimonio genetico 100 volte più grande di quello dell’uomo stesso che li ospita ed Escherichia coli ne è uno dei protagonisti indiscussi. Il numero di cellule di E.coli espulse dall’uomo ogni giorno ammonta a centinaia di miliardi. E nell’intestino hanno inizio molti processi legati all’utilizzo equilibrato dell’energia cellulare.
Gli stessi ricercatori italiani avevano già dimostrato che la tossina “buona” aiuta il lavoro dei mitocondri, le “centrali energetiche” della cellula. E questo ha effetti positivi sul cervello. “Nel corso delle nostre ricerche – spiega Carla Fiorentini, coordinatrice del gruppo dell’Iss – avevamo già evidenziato come il CNF1 possa stimolare la plasticità cerebrale e combattere i deficit cognitivi e di coordinazione in un modello murino per la Sindrome di Rett, malattia rara del neurosviluppo”.
C’è poi l’interferenza genetica. Alcuni soggetti sono portatori di un gene anomalo, ApoE4, che causa un cortocircuito nell’utilizzo da parte del corpo di colesterolo, glucosio e può provocare processi infiammatori, gli stessi che a cascata determinano i “guasti” cerebrali. La presenza di ApoE4 può raddoppiare il rischio di ammalarsi di Alzheimer, ma sembra collegata anche ad altre patologie, dalla Sclerosi Multipla al Parkinson. Per questo la scoperta dei benefici della molecola potrebbe aprire la strada a nuovi farmaci, se confermata negli uomini. “Il nostro studio – commentano i ricercatori – apre nuovi scenari nella lotta contro una delle più devastanti malattie dei nostri giorni”. Ogni anno i nuovi casi di Alzheimer sono 80-100mila e i malati italiani sono circa 600mila.