Diabete e l’esercizio fisico che rende buono il grasso per il metabolismo

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A Chicago il 73° congresso dell’American Diabetes Association occasione per presentare le ultime ricerche su una malattia che colpisce 371 milioni di persone nel mondo e 3,3 milioni di italiani
CHICAGO – L’esercizio fisico può “allenare” il grasso e renderlo buono in modo che provochi un miglioramento del metabolismo. È quanto emerso da due nuovi studi condotti sia sui topi che sulle persone e presentati oggi al 73° Congresso dell’American Diabetes Association (Ada) in corso a Chicago fino al 25 giugno. Attraverso questi studi, finanziati dall’Ada e dal National Institutes of Health, si è scoperto che nei topi che si erano esercitati sulla ruota per 11 giorni e negli uomini che avevano svolto 12 settimane di allenamento sulla cyclette si è verificato un imbrunimento del tessuto adiposo bianco, che ha poi provocato dei profondi cambiamenti nel modo in cui il grasso stesso si “comporta” all’interno del corpo.diabetes

Il grasso bruno, infatti, è metabolicamente più attivo rispetto a quello bianco che si forma quando facciamo vita sedentaria. “I nostri risultati dimostrano che l’esercizio non ha effetti benefici soltanto sui muscoli, ma anche sul grasso” ha spiegato Kristin Stanford del Joslin Diabetes Center di Boston. “E’ evidente che quando il grasso si allena diventa bruno e metabolicamente più attivo”.

“Allenare” il grasso.
 Dunque, lo svolgimento di un’attività fisica costante – da sempre ritenuta fondamentale per la prevenzione ma anche per la cura del diabete – diventa ancor più strategica per questa malattia cronica che riguarda 371 milioni di persone in tutto il mondo e 3,3 milioni di italiani. “Abbiamo sempre saputo che l’esercizio fisico è importante – conferma Laurie Goodyear della Harvard Medical School – ma ciò che abbiamo dimostrato con questi studi è l’effetto positivo che svolge sul grasso. Non si tratta del grasso addominale che è quello cattivo e può causare diabete o altre forme di insulino-resistenza. Si tratta piuttosto del grasso sottocutaneo che in seguito al movimento si adatta, scatenando un effetto metabolico positivo”.

Gli studi nei topi hanno dimostrato che il grasso bruno è associato a un miglioramento della composizione corporea, a una diminuzione della massa grassa e a una maggior sensibilità all’insulina. Dunque, anche se non si perde peso, in realtà facendo ginnastica si allena il proprio grasso a diventare metabolicamente attivo e, quindi, a produrre risultati positivi per la nostra salute.

La terapia del movimento. Di recente anche due studi italiani, uno dell’università di Perugia e l’altro dell’università La Sapienza di Roma, hanno dimostrato che per prevenire il diabete è sufficiente camminare 150 minuti alla settimana. E anche nei pazienti con diabete di tipo 2 l’attività fisica migliora il controllo glicemico e riduce il rischio per malattia cardiovascolare. Si è visto che l’esercizio aerobico, come camminare a passo svelto, la corsa o la bicicletta, serve a ridurre il peso, in particolare la massa grassa addominale, migliorae l’efficienza del sistema cardiovascolare, il controllo metabolico e riduce i fattori di rischio cardiovascolare.

L’esercizio di resistenza, come il sollevamento pesi o gli esercizi con bande elastiche, invece, serve ad aumentare la forza muscolare e quindi a prevenire infortuni e cadute, ad aumentare la massa muscolare e di conseguenza il metabolismo basale, cioè la spesa energetica a riposo e a ridurre la glicemia.

L’educazione terapeutica. Da anni ormai gli specialisti sostengono la necessità di un approccio terapeutico che non sia più soltanto farmacologico, ma basato sull’educazione terapeutica. “Come per tutte le malattie croniche, anche per il diabete è fondamentale che il paziente sia educato a gestire la propria patologia sia imparando a misurare la glicemia e a prendere i farmaci, ma anche imparando cosa mangiare e come fare attività fisica”, spiega Nicoletta Musacchio, responsabile dei servizi di diabetologia degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, che da anni si occupa di educazione terapeutica.

Per raggiungere questo obiettivo, servono modelli organizzativi che prevedano un vero e proprio percorso di addrestamento che serve al paziente per imparare a gestire la malattia ed ai medici per personalizzare sempre di più le terapie. La necessità di “cucire su misura” la cura del paziente diabetico è stata ribadita anche dall’Ada. “Le indicazioni date agli specialisti sono molto precise: è necessario fenotipizzare il paziente. Questo vuol dire considerare non solo il diabete ma il quadro generale, cioè l’età, le altre patologie presenti e il tipo di vita che si conduce”, conferma Musacchio.

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