La pasta italiana a rischio
Il frumento duro rappresenta una delle fonti primarie di calorie e proteine per gran parte dell’umanità ma i cambiamenti climatici nella regione mediterranea, area di elezione della specie, pongono problemi per la sua coltivazione, spingendola sempre più a Nord. La produzione della pasta, uno dei componenti fondamentali della dieta italiana, inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità, rischierebbe così di dipendere sempre più dalle importazioni, con gravi ricadute anche per la nostra economia.
Per fare il punto sullo stato della ricerca e sulle sfide per assicurare una produzione ottimale di frumento, si è tenuto dal 27 al 30 maggio – nella sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Roma – il convegno “Genetics and Breedings of Durum Wheat”, organizzato dall’Accademia nazionale delle scienze (detta dei XL) con il Dipartimento di scienze bio-agroalimentari (Disba) del Cnr, Enea, Cra e Cimmyt, Icarda, Fao.
“Il cambiamento climatico sta rendendo l’area del Mediterraneo, dove la specie si è evoluta ed è stata coltivata per 10 mila anni, sempre più inospitale per la coltivazione del frumento che, spinto sempre più a Nord, sperimenterà agenti patogeni e condizioni ambientali differenti”, spiega Domenico Pignone, dell’Istituto di genetica vegetale del Cnr di Bari. “Nel contempo, la gamma di prodotti che si ricavano dal suo raccolto si amplia e il consumo si estende a nuove regioni”.
Secondo Coldiretti, la produzione italiana di frumento duro è di 4,2 tonnellate e, nonostante un incremento del 12% del raccolto destinato alla pasta (2012), l’Italia resta dipendente dall’estero per circa il 40 per cento del proprio fabbisogno. “L’Italia, un po’ come è avvenuto con la seta, da paese produttore potrebbe diventare totalmente importatore, con pesanti ricadute economiche”, prosegue Pignone. “È necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualità, in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari”.
“Il frumento duro, coltivato su più di 500 milioni di ettari in tutto il mondo, è la base della dieta e del reddito agricolo in Europa, America e Australia, ma le malattie e gli stress ambientali continuano a limitare e a degradare la qualità del raccolto”, spiega Emilia Chiancone, presidente dell’Accademia nazionale delle scienze. “Questi ostacoli richiedono continua attenzione da parte della comunità scientifica”.
Al convegno si sono tenute circa 60 relazioni e 130 poster da parte di studiosi e ricercatori. Il programma scientifico ha incluso ricerche sull’origine e l’evoluzione della specie, le risorse genetiche alla base delle vecchie varietà e delle specie selvatiche, il miglioramento genetico per una produzione sostenibile, le resistenze e tolleranze ad agenti patogeni, insetti e avversità ambientali e sui recenti avanzamenti della genomica.
“I prodotti a base di frumento che mangiamo oggi”, spiega ancora Domenico Pignone, “sono frutto del miglioramento genetico cui il cereale è stato sottoposto, prima in maniera non scientifica dagli agricoltori, poi in modo più rigoroso. Ma ciò ha portato alla perdita di alcuni geni e delle associate caratteristiche che oggi la ricerca ritiene importante recuperare, grazie alle tecnologie avanzate della biologia e dell’informatica, per fronteggiare le sfide alimentari del futuro”.
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