Colesterolo: sospendere farmaci espone a rischio Parkinson
Smettere di assumere i farmaci anticolesterolo, come le statine, può far aumentare del 58% il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson
Le statine sono i farmaci utilizzati nel controllo del colesterolo. Lo scopo, come si sa, non è soltanto quello di ridurre gli eventuali livelli eccessivi ma, come conseguenza, proteggere dal rischi di sviluppare una qualche malattia legata all’apparato cardiovascolare o dal rischio vero e proprio di un attacco cardiaco.
Chi è in cura con questo tipo di farmaci dovrebbe tuttavia evitare di sospenderne l’assunzione poiché potrebbe esporlo al serio rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.
A mettere sull’avviso sono i ricercatori della National Taiwan University di Taipei, il cui studio è stato pubblicato su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology (AAN). Secondo il dottor Jou-Wei Lin e colleghi, infatti, chi interrompe la cura vede aumentare del 58% il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson – un rischio piuttosto elevato.
I ricercatori hanno coinvolto 43.810 persone che stavano assumendo farmaci a base di statine, e che non avevano ricevuto diagnosi di Parkinson. Lo studio si è concentrato sugli effetti dell’interruzione della cura poiché proprio a Taiwan è politica il sospendere il trattamento una volta che sia raggiunto l’obiettivo di riduzione del colesterolo – a differenza di altri Paesi in cui la cura prosegue anche se i livelli di colesterolo raggiungono la norma.
«Questa politica – sottolinea Jou-Wei Lin – ha permesso di osservare se ci fosse qualche differenza nel rischio di Parkinson nelle persone che hanno smesso di prendere le statine, rispetto a quelli che hanno continuato a prenderle».
L’analisi degli effetti dovuti all’interruzione o meno della cura si è focalizzata su due diversi tipi di statine: quelle lipofile (o liposolubili, ossia solubili nei grassi) e quelle idrofile (o idrosolubili, ossia solubili in acqua).
Tra le statine liposolubili sono state studiate la simvastatina e la atorvastatina, le quali sono state associate a un ridotto rischio di Parkinson. Al contrario, nessuna associazione è stata trovata per le statine idrofile come la pravastatina e rosuvastatina.
I risultati dello studio hanno infine mostrato che coloro che hanno smesso di assumere le statine avevano il 58% maggiori probabilità di sviluppare la malattia di Parkinson, rispetto a chi continuava a prendere i farmaci. I risultati sono rimasti coerenti anche dopo l’aggiustamento per altre condizioni di rischio come il diabete e la pressione alta (ipertensione).
L’osservazione dei diversi effetti dei due tipi di statine ha poi evidenziato come vi fossero differenze nell’incidenza della malattia di Parkinson. Nello specifico, si è rilevato che vi erano stati 25 casi di Parkinson tra coloro che avevano interrotto l’assunzione delle statine liposolubili, e 14 casi tra coloro che assumevano le statine idrosolubili. Tuttavia, il numero di casi è risultato maggiore tra i pazienti che utilizzavano le statine idrosolubili, poiché il numero totale di pillole assunte giornalmente è nettamente superiore per quelle liposolubili: 15 milioni di pillole al giorno per le liposolubili contro i 4 milioni di quelle idrosolubili. In cifre, i casi di Parkinson da interruzione dell’assunzione delle statine liposolubili sono stati stimati in 1,68 per milione di pillole assunte giornalmente dalle persone, contro i 3,52 casi per le pillole idrosolubili.
«Le statine liposolubili sono maggiormente in grado di attraversare la barriera emato-encefalica che non le statine solubili in acqua», ha concluso Lin.