Libri e lettura: la vera dieta contro l’insorgere della demenza
Leggere fa bene, perché non solo rende più intelligenti ma fa bene al cervello e preserva dal rischio di declino cognitivo, perdita di memoria e la demenza in genere. Ecco cosa hanno scoperto gli scienziati
Topi di biblioteca, divoratori di libri, è il vostro momento. Se qualcuno vi ha sempre preso in giro per questa vostra buona abitudine, si dovrà ricredere, perché gli scienziati sono tutti concordi nell’affermare che leggere fa bene alla salute del cervello.
A supportare questa idea è un nuovo studio appena pubblicato su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology (AAN), in cui si evidenzia come le attività che coinvolgono e stimolano il cervello come la lettura – ma anche la scrittura o altre attività connesse – possano essere benefiche a tutte le età ma, soprattutto, possano preservare le funzioni cognitive con l’avanzare dell’età.
«Il nostro studio – spiega nella nota AAN il dottor Robert S. Wilson del Rush University Medical Center di Chicago – suggerisce che tenere in esercizio il proprio cervello, prendendo parte ad attività di questo tipo durante tutta la vita di una persona, dall’infanzia alla vecchiaia, è importante per la salute del cervello in età avanzata».
In questo nuovo studio sono state reclutate 294 persone di età avanzata, le quali sono state seguite per una media di 6 anni, dall’inizio dello studio fino alla data della loro morte – a un’età media di 89 anni. Prima dell’inizio dello studio, i partecipanti hanno risposto a un questionario per accertare se avevano letto i libri, scritto e partecipato ad altre attività mentalmente stimolanti durante l’infanzia, l’adolescenza, la mezza età e alla loro età attuale.
Durante gli anni di studio, ai partecipanti sono stati dati da eseguire test che misuravano la memoria e il pensiero.
Dopo la loro morte, i loro cervelli sono stati esaminati mediante autopsia al fine di trovare prove di segni fisici di demenza quali lesioni, placche cerebrali e grovigli.
I risultati della ricerca hanno mostrato che le persone che hanno partecipato alle attività mentalmente stimolanti, sia durante l’infanzia che durante la propria vita, hanno avuto un tasso più lento di declino della memoria rispetto a coloro che non hanno partecipato – o hanno partecipato poco – a tali attività in tutta la loro vita.
I dati sono stati valutati anche dopo l’aggiustamento in base ai diversi livelli di placche e grovigli trovati nel cervello dopo l’autopsia.
Nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che l’attività mentale rappresentava quasi il 15% della differenza nel declino cognitivo, al di là di ciò che poteva essere dedotto dalla presenza di placche e grovigli del cervello. Il tasso di declino mentale è stato ridotto del 32% nelle persone con attività mentale frequente, anche più tardi nella vita, rispetto alle persone con attività mentale media. Per le persone che avevano un’attività mentale poco frequente, il tasso di declino è stato del 48% più veloce rispetto a quelli con attività media, mostrando l’importanza di tenere il cervello attivo con questo genere di attività.
«Sulla base di quanto scoperto, non dobbiamo sottovalutare gli effetti delle attività giornaliere, come la lettura e la scrittura, sui nostri figli, su noi stessi e sui nostri genitori o nonni», sottolinea Wilson.
Leggere e scrivere dovrebbe dunque divenire un’attività più praticata di quanto non lo sia attualmente – almeno in base a quanto dicono le statistiche relative alle abitudini di lettura degli italiani che sono piuttosto deprimenti.