Ludopatia: guarire è possibile
Secondo le stime, in Italia soffrono di questa patologia 700mila persone. Lo scorso anno più di ottomila si sono rivolte ai Serd, i servizi delle Asl. E ogni anno la cifra aumenta del 50%. “Se non si fanno leggi e inteventi seri, tra cinque anni ne avremo in cura almeno 50mila”
C’è la signora che a sessant’anni si è giocata il negozio, il ragazzino che rubava in casa per sentirsi il re del poker on line, il quarantenne che ha alleggerito la cassaforte dell’ufficio e bruciato i beni di famiglia tra slot machine e cavalli. Parlano col tono di chi quasi ancora non ci crede, di chi si sente sempre sul filo del rasoio, equilibristi della normalità conquistata a fatica. Sono quelli che ce l’hanno fatta, per ora dicono loro, a smettere di scommettere. A non alzarsi più al mattino con quell’unico pensiero che gli ha bruciato anni di vita e non solo banconote, come una vera droga. Dipendenti dalle carte, dai numeri, dai gratta e vinci. Dei 700mila di giocatori patologici stimati in Italia, dove il giro di affari è di 86 milioni di euro, l’anno scorso più di ottomila sono andati a chiedere aiuto nei Serd, servizi per le dipendenze delle Asl. E ogni anno la cifra aumenta del 50%, con un forte incremento delle donne.
“Io non sono proibizionista, il gioco in se non è male, lo diventa quando si trasforma in dipendenza, ma se non si fanno leggi e interventi seri tra cinque anni dobbiamo prepararci ad averne in cura almeno 50mila. Senza contare che tutto questo si fa senza fondi, rubando tempo e risorse ad altre dipendenze perché dopo annunci e promesse del ministero della Salute nulla è stato dato o fatto per il gioco. Qui si curano gratis”. Parola di Alfio Lucchini, psichiatra, presidente dei Serd italiani.
Una battaglia quotidiana difficile anche perché chiudere i luoghi fisici dove si gioca non basta, ormai la scommessa corre soprattutto in rete, si può fare comodamente da casa. Quindi non serve allontanare le tentazioni, mettere i lucchetti alle slot machine. L’unica via è provare a smettere, tra Serd pubblici dove lavorano psicologi, analisti, medici e i gruppi di autoaiuto, come i Giocatori anonimi dove ogni storia, ogni esperienza condivisa pubblicamente nelle riunioni settimanali che si tengono in tutt’Italia aiuta nel difficile cammino “chi hai accanto e come te conosce il desiderio, la brama che ti fa sragionare, dimenticare amici e famiglia, promesse e impegni per rincorrere quell’adrenalina che ti corre in corpo prima della scommesse anche dopo quando vuoi rifarti a tutti i costi”.
Alessandro è uno di quelli che può dire “non scommetto da cinque anni, ma nell’animo ti senti sempre un giocatore”. Per questo dopo esserci passato è uno dei fondatori di Giocatori anonimi in Emilia, gruppi informali di terapia che continua a frequentare per sé e perché il suo esempio, il suo non giocare è uno stimolo, una speranza per chi ancora non riesce a farne a meno.
Lui ha smesso andando al Serd di Bologna, uno dei primi in Italia, quasi dieci a anni fa ad occuparsi delle ludopatie. Dove si “accoglie e non si giudica”, dove chi arriva spesso ha dipendenze incrociate: droga e alcol oltre alle scommesse. Dove i maschi sono il 70 % e hanno sui 40 anni ma il più anziano che lotta per non giocare ne ha ben 80, mentre le donne cominciano più tardi a perdersi spesso per un gratta e vinci. Diversa l’età
e le motivazioni, raccontano i medici: i maschi cercano sensazioni forti, mentre le donne con le scommesse combattono depressione e solitudine.
“Perché il gioco è una compensazione, bisogna capire di cosa. Per chi ha bisogno di adrenalina il gioco è come una droga, ha bisogno di tornare spesso a puntare, a scommettere altrimenti perde compleramente il controllo. Ho visto crisi di astinenza da gioco segnate da attacchi di panico e depressione perché per molti la vita senza scommesse è peggio che senza droghe”. Così racconta la dottoressa Masci, psicoterapeuta dirigente del Serd bolognese dove le “guarigioni sono circa del 70 per cento” anche se dopo si consiglia di frequentare i gruppi di autoaiuto come appoggio nel tempo. Il metodo? Nella prima fase bisogna trovare un’alternativa alla scommessa che dà adrenalina, una compensazione, che sia sport o nuovi interessi. Poi si coinvolge la famiglia in incontri singoli e di gruppo, perché la famiglia è un punto di forza, è quasi sempre lei la molla che spinge il giocatore a chiedere aiuto. “Ore di parole per impare a conoscersi, a capire cosa si cerca di compensare, da cosa si fugge”. Per ricominciare a tessere la propria vita, a ritrovare il sapore il gusto delle giornate, dei rapporti.
In genere, dicono gli esperti, il primo stop al gioco arriva in tre mesi, ma ci vogliono quattro anni per considerarsi al sicuro, e il rischio di ricaduta è alto. E così per i casi più gravi ci sono anche le comunità che accolgono i dipendenti dal gioco. Perché la guarigione è una scommessa da vincere ad ogni costo.