CCSVI: studio italiano su cura Zamboni per trattamento sclerosi, la considera sicura e fattibile

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Uno studio italiano pubblicato in questi giorni sul ‘Journal of Vascular Surgery’ si esprime a favore della discussa ‘cura Zamboni’ contro la sclerosi multipla, l’approccio che parte dal presupposto di un legame tra sclerosi e Ccsvi (insufficienza venosa cerebrospinale cronica), e quindi propone una ‘terapia di liberazione’ con angioplastica coronarica. Secondo Tommaso Lupattelli (Unità vascolare ed endovascolare, Istituto clinico cardiologico di Roma) e colleghi, autori del lavoro condotto su circa 1.200 pazienti con sclerosi ritenuti positivi alla Ccsvi, “il trattamento endovascolare per la Ccsvi sembra fattibile e sicuro – si legge nelle conclusioni dello studio – Tuttavia, un’adeguata curva di apprendimento può ridurre drasticamente il tasso di eventi avversi. Nella nostra esperienza, la maggior parte delle complicazioni sono avvenute nei primi 400 casi trattati”.
La ricerca è stata pubblicata il 14 agosto, lo stesso di un’altra pubblicazione, su ‘PlosOne’ online, che invece stronca alla base le teorie dell’angiologo dell’università di Ferrara Paolo Zamboni. Secondo lo studio ‘contro’ – condotto su 100 malati di sclerosi e 100 controlli sani da un gruppo della McMaster University canadese, che comprende 3 operatori formati a Ferrara – non c’è alcuna evidenza che un ridotto flusso di sangue nelle vene del collo, o una loro ostruzione, sia uno dei meccanismi coinvolti nella sclerosi multipla. Una ‘sentenza’ alla quale lo stesso Zamboni, insieme al collega Mirko Tessari, ha replicato a stretto giro con una lettera inviata alla rivista scientifica.
Di segno opposto a quelle canadesi le conclusioni del gruppo di Lupattelli, su 1.202 pazienti esaminati e trattati dal settembre 2010 all’ottobre 2012. Tutti i pazienti – spiegano gli autori – erano stati precedentemente trovati positivi all’ecocolordoppler per almeno due criteri di Zamboni per la Ccsvi, e avevano una diagnosi di sclerosi multipla confermata dal neurologo. Sono state considerati per il trattamento solo i casi di sclerosi sintomatici. L’angioplastica percutanea transluminale è stata effettuata in regime ambulatoriale presso due diversi istituti.

Procedure primarie (prima angioplastica per la Ccsvi) e secondarie (re-intervento dopo recidiva di malattia venosa) – riferiscono i ricercatori italiani – sono state effettuate rispettivamente nell’86,5% (1.037 su 1.199) e nel 13,5% (162 di 1.199) dei pazienti. Il successo della procedura e le complicazioni sono stati registrati entro 30 giorni dall’intervento.
Una flebografia seguita da ricanalizzazione endovascolare è stata eseguita su 1.999 pazienti, per un totale di 1.219 interventi. La sola angioplastica con palloncino è stata eseguita in 1.205 procedure su 1.219 (98,9%), mentre nelle restanti 14 (1,1%) è stato necessario un ulteriore impianto di stent, dopo tentativi falliti di dilatazione della vena azygos. Non sono mai stati impiantati stent nelle vene giugulari interne.
Il tasso di fattibilità – calcolano gli studiosi – è stato del 99,2% (1.209 interventi). Le complicanze maggiori includevano una rottura dell’azygos che si è verificata durante la dilatazione con palloncino e che ha richiesto una trasfusione di sangue (0,1%), un grave sanguinamento all’inguine che ha richiesto una chirurgia aperta (0,1%), due aperture chirurgiche della vena femorale comune per rimuovere dei frammenti di palloncino (0,2%), e tre trombosi della vena giugulare interna sinistra (0,2%). I maggiori e minori tassi complessivi di complicanze a 30 giorni sono stati rispettivamente dello 0,6% e del 2,5%.

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