Eco del cervello rivela livelli di coscienza, e gli italiani vogliono misurarla
E’ possibile misurare oggettivamente, su una scala ad hoc, il livello di coscienza di un paziente con lesioni cerebrali. Anche quando sembra completamente ‘disconnesso’ dall’ambiente che lo circonda. La tecnica per riuscirci è descritta su ‘Science Translational Medicine’ da un gruppo di ricercatori dell’università degli Studi di Milano, coordinati da Marcello Massimini: per capire se un malato in apparente ‘stato vegetativo’ è cosciente, indica lo studio, è possibile calcolare la complessità della risposta cerebrale a una perturbazione magnetica, utilizzando un sistema che funziona come il programma di ‘zip’ del computer. “In estrema sintesi, bussiamo sul cervello e misuriamo la complessità dell’eco che esso produce”, riassume Massimini, docente di neurofisiologia alla Statale meneghina.
Oggi nella pratica clinica – ricordano gli esperti milanesi – si valuta il livello di coscienza di un paziente sulla base della sua capacità di reagire a stimoli e comandi come ‘stringi il pugno’, oppure ‘apri gli occhi’. Tuttavia, alcuni pazienti cerebrolesi sono coscienti ma incapaci di rispondere, semplicemente perché non sono in grado di elaborare gli stimoli o perché sono completamente paralizzati.
“Per affrontare questo problema – spiega Massimini – abbiamo cercato di misurare direttamente ciò che, almeno in teoria, rende il cervello così speciale per la coscienza: la sua incredibile capacità di integrare informazione”. In pratica, i ricercatori hanno compresso, o ‘zippato’, l’informazione generata dall’intero cervello quando questo viene attivato da un forte stimolo magnetico, più o meno come vengono zippate le immagini digitali prima di essere inviate per e-mail. “L’idea – precisa lo scienziato – è che più informazione il cervello genera come un tutto integrato, meno saremo in grado di comprimere le sue risposte a una perturbazione.
Questa nuova misura del livello di coscienza è stata messa alla prova dai ricercatori in diverse condizioni fisiologiche, farmacologiche e patologiche in cui la coscienza si riduce, scompare e riappare, come la veglia, il sonno profondo, il sogno, l’anestesia e il recupero dal coma.
In tutti i casi in cui la coscienza era ridotta, o abolita – riferiscono dall’ateneo milanese – l’eco del cervello era facilmente comprimibile e in tutti i casi in cui la coscienza era presente le risposte erano complesse, e quindi difficili da ‘zippare’. In questo modo, gli scienziati sono stati in grado di costruire, per la prima volta, una scala di misura affidabile lungo lo spettro che va dall’incoscienza alla coscienza. Una scala oggettiva che può essere utilizzata per rivelare la presenza di coscienza anche in pazienti che sono totalmente isolati dal mondo esterno.
“Al di là della loro importanza clinica – conclude Massimini – questi risultati confermano, per la prima volta, l’ipotesi che la coscienza ha che fare con la capacità del cervello di integrare informazione, ovvero con una quantità incredibile di informazione concentrata in un singolo oggetto. Una cosa più unica che rara nell’universo fisico”.