La diagnosi genetica preimpianto attraverso la blastocentesi
Direttore della Unità Operativa di Fisiopatologia della Riproduzione dell’Ospedale Cervesi di Cattolica
Nell’epoca odierna circa il 2%-3% dei nuovi nati avviene mediante tecniche di riproduzione assistita. La comunità scientifica internazionale rivolge oggi le sue massime attenzioni alla analisi delle cellule embrionali, a quella del mezzo di colltura in cui vengono coltivati gli embrioni ed alla analisi dei fluidi della cavità uterina in cui gli embrioni devono interagire con la superficie materna.
Lo scopo è quello di migliorare l’efficienza dell’impianto embrionale ( ancor oggi buco nero della conoscenza scientifica), di ridurre le gravidanze gemellari o plurigemellari che costituiscono un forte rischio di salute materno fetale ( consentendo di trasferire in utero un solo embrione dotato di altissime potenzialità di impianto, perché sano).
Il prelievo di cellule embrionali tuttavia viene dai più considerato tecnica invasiva ed ancorchè non ci siano prove del danno provocabile dalla sottrazione di cellule dallo embrione, la tecnica resta sotto attenta osservazione scientifica per rimuovere dubbi di nocività. La blastocisti (embrione a quello stadio differenziativo ultimo, prima dell’impianto) contiene cellule ma anche una cavità di liquido ( 0.5-2 nL) che in passato non era stata mai oggetto di attenzione scientifica né di analisi per le difficoltà ad analizzare quantità di liquido cosi piccole.
Nel 2011 viene presentato all’Annual Meeting della American Society for Reproductive Medicine un lavoro cooperativo tra il Prof Bulletti , il Dott Palini ed il Prof Zolla nel quale si dimostra la possibilità di adire alla analisi metabolica dell’embrione con questi liquidi che vengono ordinariamente sottratti agli embrioni in alcuni laboratori per evitare il loro danno durante la crioconservazione per formazione di cristalli di ghiaccio.
Piu recentemente da una collaborazione degli stessi Dott Bulletti, Dott Palini, Dott Galluzzi e Prof Magnani delle Biotecnologie della Università di Urbino viene dimostrato ( e pubblicato su RBMonline a firma dell’embriologo S Palini et al che qui a Roma presenta ulteriori dati prodotti in collaborazione con il Dott Galluzzi e i Prof Bulletti e Magnani) che quel liquido contiene DNA e da quel liquido si possono fare diagnosi come dal liquido della amniocentesi in passato. Da qui il termine da questi coniato “Blastocentesi” per riferire quanto sopra.
Aneuploidie, malattie monogeniche, malattie legate al sesso ecc potrebbero essere prodotte senza alcuna sottrazione di cellule riducendo anche solo il sospetto di invasività in essere per le tecniche che si avvalgono di biopsie embrionali. La sottrazione del liquido del blastocele – cavità della blastocisti che lo contiene- viene ordinariamente riempita spontaneamente in due ore circa senza impedimento successivo alcuno. La tecnica è in evoluzione ma con ampie possibilità di sviluppo e di validazione.