Produzione di massa di staminali pluripotenti indotte

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cellule staminali pluripotenti

E’ una singola proteina a frenare la riprogrammazione delle cellule somatiche adulte in cellule staminali pluripotenti indotte, rendendo il processo estremamente inefficiente.

Eliminando questa proteina dalle cellule è possibile aumentare l’efficienza della riprogrammazione dall’uno per cento a quasi il 100 per cento, riducendo notevolmente anche il tempo necessario per completare la trasformazione delle cellule adulte in staminali pluripotenti.

cellule staminali pluripotenti
cellule staminali pluripotenti

Sopprimendo l’espressione di una singola proteina, è possibile aumentare enormemente l’efficienza del processo di riprogrammazione delle cellule adulte in cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), portandola dall’attuale uno per cento circa al 90-100 per cento e abbattendo anche i tempi necessari al completamento del processo da quattro settimane ad appena otto giorni. Il risultato è stato ottenuto da un gruppo di ricerca del Weizmann Institute a Rehovot, in Israele, e illustrato in articolo pubblicato su “Nature” a prima firma Yoach Rais. La scoperta dei ricercatori israeliani promette di accelerare enormemente l’uso clinico delle cellule iPS, per la cui scoperta lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka nel 2012 ha ottenuto il premio Nobel per la medicina.

Per trasformare le cellule adulte in staminali pluripotenti, ovvero in grado di generare i vari tipi cellulari specializzati che compongono un organismo, è sufficiente introdurre nel loro DNA quattro specifici geni che codificano per determinati fattori di trascrizione. Tuttavia nel corso del processo di riprogrammazione si osserva che quasi tutte le cellule trattate si “arenano” senza riuscire a portare a termine la riprogrammazione.

Questa inefficienza è stata attribuita all’assenza di segnali di attivazione cruciali per la riprogrammazione o a un’incapacità delle cellule di superare ostacoli inibitori, inducendo ricercatori di tutto il mondo a testare, invano, nuovi possibili fattori che permettessero di migliorare la resa del processo.

Per cercare di capire quale fosse il problema, uno dei ricercatori del gruppo di Rais ha sviluppato una serie di modelli relativi a diverse possibili spiegazioni per i fallimenti dei colleghi. Fra tutti i modelli elaborati, a offrire la spiegazione più semplice ed elegante era un modello che prevedeva un unico ostacolo, una proteina, alla riprogrammazione.

A questo punto i ricercatori sono andati a caccia di proteine che potessero candidarsi al ruolo di freno alla riconversione delle cellule adulte in cellule iPS. La loro attenzione è così caduta su una proteina chiamata Mbd3, la cui funzione era sconosciuta, ma che, come hanno poi scoperto, ha una singolare proprietà. Mentre la stragrande maggioranza delle proteine di un organismo è prodotta in cellule specifiche, in momenti specifici e per funzioni specifiche, ma Mbd3 è sintetizzata in ogni cellula del corpo e in ogni fase di sviluppo.

Il risultato del processo di riprogrammazione dopo sei giorni di incubazione con il metodo classico (a destra) e con il nuovo. In rosso, le cellule che non si sono dedifferenziate, in giallo quelle divenute pluripotenti. (Cortesia J. Hanna / Weizmann Institute)

Uno studio più approfondito di Mbd3 in seguito ha permesso ai ricercatori israeliani di scoprire che questa sua espressione universale ha un’eccezione: i primi tre giorni dopo il concepimento. Ovvero il periodo in cui l’embrione è composto unicamente da cellule staminali totipotenti, cioè in grado singolarmente di dare origine a un intero organismo, che poco dopo inizieranno il processo di differenziazione in tipi cellulari differenti e sempre più specifici.

A questo punto gli scienziati hanno provato a eliminare e impedire l’espressione di Mbd3 in un gruppo di cellule adulte sottoposte al processo di riprogrammazione, ottenendo risultati insperati. Secondo Rais e colleghi, la procedura standard è inefficiente perché i fattori di riprogrammazione usati attivano anche Mbd3 che ha la funzione di reprimere la trascrizione di proteine, inducendola quindi a sopprimere l’espressione di quegli stessi geni che i fattori di riprogrammazione cercano di riattivare per far tornare le cellule adulte allo stadio di pluripotenza.

Perché i fattori di riprogrammazione reclutino anche Mbd3 non è ancora chiaro, dicono i ricercatori, ma è evidente che si tratta di un fenomeno che riguarda la possibilità di differenziazione delle cellule. Per questo, osservano gli scienziati, è importante che l’eliminazione dalla cellula della proteina e il silenziamento del gene da cui è codificata sia solo temporaneo: altrimenti, una volta ottenute le staminali, non sarebbe più possibile indurle a differenziarsi nel tipi cellulari e nei tessuti desiderati.

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