Malattie reumatiche: cosa è cambiato in 10 anni, e nuovi progressi diagnostici
Il bilancio dei passi avanti fatti negli ultimi tredici anni presentato al congresso annuale dell’American College of Rheumatology a San Diego. Farmaci biologici superiori alle terapie tradizionali
Sono passati appena tredici anni ma sembra un secolo per i grandi progressi compiuti. Oggi, in circa tre mesi dalla comparsa dei primi sintomi, si arriva alla diagnosi di artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante, le malattie reumatiche più diffuse e che ricevono i vantaggi maggiori da una diagnosi tempestiva. Nel 2.000 trascorrevano invece in media 6 anni e mezzo per scoprire che quel mal di schiena ribelle a tutti i trattamenti in realtà era l’inizio di una spondilite anchilosante, oltre 4 anni dalla comparsa di dolori articolari e qualche desquamazione della pelle per arrivare alla diagnosi di artrite psoriasica e 3 anni dai primi gonfiori di mani e piedi per capire che si trattava di artrite reimatoide. Anni persi, trascorsi senza cure specifiche e quindi con la malattia che avanzava e lasciava danni permanenti.
Il grande progresso è stato quantificato da Merete Lund Hetland, reumatologa e Jan Sørensen, economista sanitario, dell’università di Copenhagen. Lo hanno illustrato al congresso annuale dell’American College of Rheumatology in corso a San Diego, California, appuntamento mondiale per tutti gli specialisti che si occupano delle patologie causate dall’autoaggressione del sistema immunitario e che colpiscono principalmente articolazioni e muscoli, ma non risparmia nessuna parte del corpo. I dati sono stati ottenuti grazie a Danbio, sigla che indica il registro sulle malattie reumatiche più vasto e ricco di informazioni disponibile. Realizzato da un gruppo di università danesi, raccoglie dati anche da altri registri nazionali ed è diventato un punto di riferimento mondiale non solo per i reumatologi, ma anche per chi si occupa di organizzazione sanitaria e per chi deve prendere decisioni politiche in materia.
Vari i fattori a cui è dovuto il grande progresso. Dal 2000 la ricerca ha messo a punto metodi diagnostici più precisi e facili da usare. E i farmaci biologici, superiori alle terapie tradizionali a base di cortisone ed immunosoppressori. Soprattutto le cure migliori, secondo gli autori, sono alla base della enorme riduzione dei tempi di diagnosi, che riflette sicuramente una maggiore consapevolezza da parte dei medici dei maggiori benefici per il paziente che ora si hanno con i nuovi farmaci.
Un altro balzo, ma di segno negativo (apparentemente) è stato annunciato al congresso. Le patologie muscolo-scheletriche (perlopiù malattie reumatiche) sono salite dal 12° al 5° posto nella graduatoria delle patologie che fanno più danni all’individuo e alla società, in termini di perdita di autonomia e di anni di vita che si riflettono in mancata capacità produttiva e aumento di costi sociali. Lo studio è stato illustrato da Lyn March, professoressa di Reumatologia al Royal North Shore Hospital, St. Leonards, Australia.
Il 12° posto era stato assegnato nel 1990 dalla prima indagine condotta dalla Banca Mondiale e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità denominata GBD, Global Burden of Diseases, traducibile in Il “peso” complessivo delle malattie. Si basava su una unità di misura, messa a punto per l’indagine, dei danni individuali e sociali causati dalle malattie indicata con la sigla DALY (Disability Adjusted Life Years). In essa confluiscono il calcolo degli anni di disabilità al lavoro con quello degli anni di vita persi rispetto alla speranza di vita della popolazione giapponese, la più longeva del pianeta. In pratica un DALY è un anno di vita sana perso.
Il gruppo di ricerca australiano ha estratto i dati del GBD riferiti al 2010 che hanno visto la luce quest’anno. Su 291 malattie che causano disabilità e morte prematura o solo disabilità il primo posto spetta alle cardiovascolari, responsabili dell’11,8% di tutti gli anni di vita sana persi nel mondo nel 2010. Staccati di pochissimo, con l’11,2%, seguono gli incidenti. Al terzo posto, a un ben più lontano 7,6% del “peso” su benessere e produttività i tumori di tutti i tipi mentre subito dopo col 7,4% le patologie psichiatriche insieme ai più lievi disturbi comportamentali. Al quinto, come detto sopra, col 6,8% le muscolo-scheletriche che si trovavano al 12° posto nel 1990 col 4,7%.
Solo nel caso delle cardiovascolari diffusione e gravità delle malattie, reale e percepita, corrisponde alla gravità del danno individuale e sociale calcolato dal DAILY. Sorprende invece che gli incidenti, molto meno frequenti dei tumori, si portino via anni di vita sana quasi quanto il cancro. E che le quasi rare malattie mentali facciano poco meno danni dei temutissimi big killer. Ma se si pensa a quanti anni di vita autonoma si portano via gli esiti dei traumi o i disturbi psichiatrici si spiega la sorpresa.