Perdita dell’udito nella displasia ectodermica: ricerca IDI fa luce sul meccanismo
Un gruppo di ricercatori dell’Idi-Irccs di Roma ha scoperto il meccanismo attraverso cui le mutazioni del gene p63 portano alla perdita dell’udito in una rara sindrome dermatologica denominata displasia ectodermica; la stessa malattia causa anche la fusione, oppure la mancanza, delle dita delle mani e dei piedi, il labbro leporino e difetti del palato.
La scoperta, nata dalla collaborazione tra Gennaro Melino, direttore del Laboratorio di Biochimica della Cute dell’Idi e altri istituti di ricerca italiani e stranieri, è stata pubblicata sui ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’. “Per la prima volta, attraverso questo studio – dice Alessandro Terrinoni, uno degli autori – abbiamo identificato il meccanismo che sottende i difetti dell’udito riscontrati in pazienti affetti da una particolare forma di displasia ectodermica, la sindrome ectrodattilia-displasia ectodermica-palatoschisi”. In passato, il gruppo di Melino e Terrinoni aveva già contribuito a chiarire i meccanismi molecolari attraverso cui le mutazioni nel gene p63 sono in grado di generare questo tipo di malattia, ma non era stata stabilita una relazione tra difetto genetico e udito. “Ora invece – spiega Terrinoni – abbiamo dimostrato che lo stesso gene p63, essenziale per il normale sviluppo dell’ectoderma, controlla anche il corretto sviluppo del neuroepitelio cocleare, responsabile dell’udito”. Grazie a questa ricerca, bambini affetti da displasia ectodermica potranno beneficiare di una più attenta valutazione dell’udito e di azioni atte a circoscrivere gli eventuali problemi di linguaggio connessi alla coesistenza di difetti dell’udito e del palato, evidenzia una nota.
“Ancora una volta – commenta il direttore scientifico dell’Idi-Irccs, Maurizio Capogrossi – i ricercatori del nostro Istituto raggiungono un importante risultato scientifico nel campo delle malattie dermatologiche dovute a difetti genetici ereditari; in queste patologie l’Idi-Irccs rappresenta un centro d’eccellenza, proprio per la sua capacità di integrare la clinica con la ricerca dei meccanismi molecolari che conducono alla malattia.
Questi risultati, sono ulteriore evidenza del rilancio del nostro Istituto, anche in campo scientifico, consentono di offrire una migliore assistenza a questi pazienti, e avvicinano la possibilità di curare alcune delle conseguenze del difetto genetico”.