Oncologia: la preoccupazione dei medici per i tagli alla sanità
Aumentano gli oncologi italiani preoccupati per i tagli alla sanità: pesano sulla capacità di curare al meglio i pazienti a detta del 91% degli specialisti che hanno partecipato a un sondaggio condotto dall’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) tra novembre e dicembre, mentre in marzo a esprimere timori era l’83% degli intervistati.
Il dato, quindi, è cresciuto in pochi mesi di 8 punti percentuali. “Il 76% dei clinici ritiene che l’istituzione di un budget nazionale per l’oncologia possa favorire la programmazione sanitaria”, sottolinea il presidente Aiom Stefano Cascinu, intervenuto oggi a Milano alla presentazione dei risultati dell’indagine su 858 camici bianchi.
“Devono essere colte le opportunità per risparmiare risorse, per cui è importante promuovere un dibattito sul tema”, avverte l’esperto ricordando che nel 2013 sono state registrate in Italia 366 mila nuove diagnosi di cancro, con circa 173 mila morti. Il sondaggio è tornato anche sul tema farmaci biotech e biosimilari. Rispetto al sondaggio di marzo, dopo la campagna itinerante organizzata dall’Aiom in 9 regioni, la conoscenza sull’argomento sembra essere migliorata: oggi il 79% dei medici intervistati dà una definizione corretta di biosimilare, contro il 24% della prima rilevazione. In generale, riferisce l’Aiom, “il 98% degli oncologi italiani utilizza i farmaci biotecnologici, efficaci contro la gran parte dei tumori. E l’88% è convinto che la decisione sulla sostituibilità con i biosimilari, prodotti simili ma non uguali ai più complessi originali biotech, debba essere di esclusiva competenza dell’oncologo”.
Stando al sondaggio “è identica – precisa Cascinu – la percentuale (44%) di oncologi che ritengono che i biosimilari di anticorpi monoclonali possano favorire il contenimento dei costi e di coloro che sostengono invece sia più utile cercare margini di risparmio in altre voci di spesa”.
Per il 66% degli intervistati (62% a marzo), riporta l’Aiom, le maggiori criticità legate all’uso dei biosimilari derivano dal fatto che possono funzionare in maniera differente rispetto al medicinale di riferimento, e per il 19% dal diverso grado di immunogenicità, cioè la capacità di indurre una reazione immunitaria nell’organismo. Per il 71% (65% a marzo scorso) i nuovi biosimilari sono più complessi di quelli già disponibili, richiedono processi di vigilanza più accurati e appositi registri e studi clinici con endpoint validati.
“Un altro aspetto critico – continua Carmine Pinto, presidente eletto Aiom – è l’estensione d’uso dei biosimilari per indicazioni diverse da quelle contenute nel dossier registrativo. Per la maggioranza dei clinici”, il 70%, “potrebbe essere inadeguata”. Il 21% ritiene fondamentale per la categoria collaborare con le istituzioni sanitarie per regolamentare il settore, e il 18% verificare e trasmettere a tutti i soci gli studi clinici che hanno portato alla registrazione di questi farmaci. Per Elisabetta Iannelli, segretario Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), “sarebbe auspicabile la continuità terapeutica per ogni paziente già in trattamento con l’originator. La sostituibilità può essere accettata solo con il consenso informato del paziente e non per motivazioni di carattere economico”.
Anche per i biosimilari la procedura di approvazione è centralizzata a livello europeo, ma “è molto diversa da quella necessaria per l’introduzione sul mercato di un generico – osserva Michele Carruba, direttore del Dipartimento di farmacologia, chemioterapia e tossicologia medica all’università degli Studi di Milano – Le linee guida Ema stabiliscono che è necessario condurre studi clinici mirati per dimostrare la sovrapponibilità dell’azione biologica di un biosimilare con quella dell’originator”. Infatti “il principio attivo del biosimilare è analogo, ma non identico a quello contenuto nell’originatore”. E “le differenze tra originator e biosimilare possono essere tanto maggiori quanto più complessa è la struttura della molecola, ad esempio nel caso dei biosimilari di anticorpi monoclonali”. Ecco perché questi prodotti sono sottoposti a monitoraggio intensivo da parte dell’Aifa per 5 anni dalla commercializzazione. E nel Position Paper del 13 maggio 2013, ricorda l’Aiom, “l’agenzia regolatoria chiarisce che biologici e biosimilari non possono essere considerati equivalenti, escludendone quindi la sostituibilità automatica”.