ICTUS: SI CURA MEGLIO MA LE DONNE SOPRAVVIVONO CON UNA QUALITÀ DI VITA PEGGIORE
Milano 24 febbraio 2014 – Da 10 anni a questa parte le cure dopo un Ictus sono migliorate e sono più efficaci: eppure le donne che sopravvivono hanno una qualità di vita peggiore rispetto agli uomini.
A dimostrarlo sono stati gli autori della ricerca pubblicata in questi giorni su Neurology che hanno paragonato la qualità della vita nelle donne e negli uomini dopo un Ictus o un TIA (attacco ischemico cerebrale transitorio) analizzando 1.370 pazienti fra 56 e 77 anni tenendo conto della capacità residua del paziente di muoversi, di aver cura di sé, di svolgere le normali attività quotidiane, e di aspetti quali la depressione, l’ansia e il dolore.
Ebbene, nelle donne la qualità della vita misurata a un anno dall’evento risultava peggiore: a tre mesi dall’Ictus le donne, rispetto ai maschi, avevano maggiori problemi di mobilità, e livelli più elevati di dolore o disagio, di ansia e di depressione, specie oltre i 75 anni. A un anno dall’evento, la qualità della vita nelle donne continuava ad essere peggiore rispetto agli uomini, a prescindere dall’età.
“Si tratta di un’ulteriore evidenza della differenza di sesso e di genere nelle manifestazioni della malattia cerebrovascolare. – Sostiene Paola Santalucia, specialista in Neurologia e Cardiologia all’Ospedale Policlinico di Milano e vicepresidente di ALT- Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari- Onlus. – Le donne sono maggiormente colpite dall’Ictus in termini di gravità di sintomi, mortalità e disabilità residua. L’attenzione della comunità scientifica non può più prescindere dalla valutazione delle differenze di genere che riguardano l’Ictus sia per quanto concerne la distribuzione dei fattori di rischio che le manifestazioni di malattia e la disabilità residua.
Le donne – continua la dottoressa Santalucia, sono più anziane e sole degli uomini quando vengono colpite da Ictus, l’ictus è più spesso di grave entità ed esita in maggiore invalidità sia funzionale che cognitiva. È necessario un cambiamento sostanziale di paradigmi, disegno degli studi clinici di intervento farmacologico e dell’attenzione alle cure che preveda un approccio di genere efficace per migliorare l’intervento sanitario globale sia negli uomini che nelle donne.”