Il ruolo dei prioni nella memoria a lungo termine

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Il ruolo dei prioni nella memoria a lungo termine

Le proteine prioniche, note perche la loro forma mutata provoca gravi malattie neurodegenerative come il morbo della mucca pazza, hanno un’importante funzione nella formazione delle memorie a lungo termine.

Lo rivela uno studio che ha scoperto il meccanismo con cui i neuroni stabilizzano alcune sinapsi ma non altre, meccanismo che potrebbe spiegare perché alcune delle nostre memorie si estinguono mentre altre durano una vita molecole_prioni
I prioni, le proteine divenute tristemente note come responsabili del morbo della mucca pazza e di malattie neurodegenerative come il Parkinson, possono rivestire un ruolo importante nelle cellule sane. “Credete veramente che Dio abbia creato i prioni per uccidere?”, chiede provocatoriamente il Premio Nobel Eric Kandel. “Inizialmente, devono essersi evoluti per una funzione fisiologica”.

Gli studi di Kandel hanno rivelato che nel sistema nervoso degli animali i prioni svolgono un ruolo essenziale: contribuire a stabilizzare le sinapsi che consentono la formazione delle memorie a lungo termine. Questi prioni naturali non sono infettivi, ma a livello molecolare si uniscono a formare lunghe catene, così come i loro analoghi patogeni (che alcuni ricercatori chiamano “prionoidi” per evitare confusioni).

Un recentissimo studio di Kausik Si, dello Stowers Institute for Medical Research, ex studente di Kandel, dimostra che l’azione dei prioni è strettamente controllata dalla cellula e viene innescata quando occorre formare una memoria a lungo termine.

I prioni sono proteine con due proprietà insolite: in primo luogo, possono commutare tra due possibili forme, una che rimane stabile anche quando è isolata, e una alternativa che può formare catene. La seconda proprietà riguarda solo la versione che forma catene, e che deve essere in grado d’indurre altre molecole a cambiare forma e ad aggiungersi alla catena. In altre parole, nella sua versione normale la proteina è ripiegata in modo tale che una porzione della sua struttura – chiamiamola “chiave A” – possa entrare solo nella “serratura B” della proteina stessa. Nella forma alternativa, invece, la chiave A può entrare anche nella “serratura B” della proteina adiacente. Ciò significa che il prione adiacente può fare la stessa cosa con un’altra proteina, e così via, formando una catena o un aggregato che possono crescere indefinitamente.

Gli aggregati che si producono nelle malattie da prioni sono tossici per la cellula, ma altre catene proteiche hanno un ruolo nei neuroni sani. La loro capacità di autoperpetuarsi delle reazioni a catena, infatti, risolve un dilemma delle cellule: come conservare una memoria permanente quando l’insieme dei processi cellulari che ne hanno consentito la formazione si sono conclusi da tempo? Per dirla con le parole di Si: “Come si fa a creare uno stato permanente con molecole che spariranno nel giro di due mesi?”

Per un neurone, conservare una memoria è un grosso lavoro. Bisogna che nelle sinapsi, le piccole separazione tra una cellula e un’altra, vengano prodotte continuamente diverse proteine. Mentre una cellula può avere molte sinapsi, la sintesi proteica che sviluppa e mantiene la connessione avviene solo nelle sinapsi che sono state attivate. Uno studio sulla lumaca di mare Aplysia (molto usata dai neuroscienziati a causa delle grandi dimensioni dei suoi neuroni) ha mostrato che per mantenere attivata una sinapsi è necessaria una proteina chiamata CPEB (cytoplasmic polyadenylation element binding).

Nel 2003, Si e Kandel, insieme a Susan Lindquist, del Massachusetts Institute of Technology, dimostrarono che CPEB si comporta come un prione. Una volta avviata, la reazione a catena del prione si autoperpetua: in questo modo, la sinapsi può essere conservata anche dopo che lo stimolo iniziale non c’è più, forse per tutta la vita.

Questo però non spiega ancora come si è innescato il primo prione o perché questo accade in alcune sinapsi e non in altre.

Una risposta viene dal lavoro di Si sui moscerini della frutta, pubblicato l’11 febbraio su PloS Biology. Il comportamento sessuale, in particolare quello del moscerino maschio, è perfetto per testare la memoria: se una femmina non è ricettiva, il maschio lo ricorderà e smetterà di corteggiarla. Precedentemente, il gruppo di Si aveva dimostrato che se la versione di CPEB del moscerino, chiamata Orb2, è mutata in modo da non comportarsi come un prione, l’insetto per un po’ si ricorda che la femmina non è recettiva, ma nel giro di pochi giorni la memoria svanisce.

In quest’ultimo studio, il gruppo di Si ha immaginato in che modo la cellula può avviare il macchinario responsabile della persistenza della memoria e come la memoria possa essere stabilizzata nel momento giusto e nel posto giusto.

Prima che la memoria si formi, nel neurone di un moscerino si trova una grande quantità di Orb2B, che è in grado di cambiare forma per dar luogo ai caratteristici aggregati di prioni ma per farlo ha bisogna della relativa proteina Orb2A.

Si e colleghi hanno chiarito il complesso insieme di processi che controlla la funzione della Orb2A. In primo luogo, un’altra proteina, chiamata TOB, si lega alla Orb2A, permettendole di rimanere intatta nella cellula, mentre normalmente, verrebbe decomposta entro poche ore. Una volta stabilizzata, deve poi essere marcata con un gruppo fosfato, compito svolto da un’altra proteina ancora, chiamata Lim chinasi.

La Lim chinasi si attiva solo quando la cellula riceve un impulso elettrico e solo quando esso è indirizzato a quella specifica sinapsi. Ciò significa che la reazione a catena è innescata nel preciso momento e nello specifico luogo necessari. Questo, sottolineano i ricercatori, indica che la cellula ha un meccanismo per stabilizzare alcune sinapsi ma non altre, e potrebbe spiegare perché alcune delle nostre memorie si estinguono mentre altre durano una vita.

Il lavoro su queste proteine finora si è svolto su lieviti, lumache marine, moscerini e topi, ma la CPEB potrebbe funzionare nello stesso modo per preservare i ricordi anche nell’essere umano. I prossimi passi saranno lo sviluppo di migliori tecniche che consentano di vedere dove si attivano i prioni nel cervello e l’analisi approfondita di interrogativi sulla regolazione del processo prionico. Per esempio: quando dimentichiamo qualcosa, vuol dire che la reazione a catena dei prioni è stata interrotta?

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 18 febbraio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) 

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